domenica 27 febbraio 2011

REGIONE VENETO MATRIGNA

COMUNICATO STAMPA

ESTE- La Lega Nord predica bene e razzola sempre male.

Speravamo tutti che l'impianto di pollina chiesto dalla ditta Menesello a Motta fosse all'interno dell'emendamento alla legge finanziaria veneta approvato qualche giorno fa dal consiglio regionale che prevedeva una moratoria, almeno sino al 31 dicembre prossimo, per i progetti già presentati per impianti a biomassa superiori ai 500 KW.
Ora il consigliere leghista Santino Bozza denuncia lo scenario più inquietante che si potesse prevedere: ossia che la giunta guidata da Luca Zaia martedì prossimo possa approvare la richiesta del privato contro gli interessi, ben rappresentati dall'amministrazione di Este, dei cittadini dell'intera area.
Se arriverà il permesso all'impianto, di fatto un inceneritore alle porte di Este, sarà una decisione politica di cui la Lega Nord dovrà assumersi tutte le responsabilità.
A nulla valgono le grida di allarme del consigliere regionale Santino Bozza ed assumono i toni della farsa le grida della parlamentare leghista Paola Goisis che parla tanto ma poi, purtroppo in questo caso, non garantisce nulla al suo territorio.
Non lo ha garantito quando in Parlamento ha votato la trasformazione della pollina in biomassa, non lo garantisce oggi che i suoi compagni di merende in Regione decidono l'impianto ad Este.
Chiediamo almeno un atto di coerenza.
Che si dimetta da quel partito che al nostro territorio ed alla sua gente garantisce un unico federalismo: quello dell'inquinamento.

giovedì 24 febbraio 2011

Incontro con le associazioni - Venerdì 4 marzo





Cari amici,

La lista Civica Arcobaleno–Sel sta discutendo il programma con cui si presenterà alla prossima campagna elettorale per le elezioni che si terranno il prossimo 15-16 maggio.
Le sfide che ci attendono e che attendono la nostra città per i prossimi cinque anni sono numerose ed importanti.
Crediamo che la redazione di un programma condiviso, frutto del confronto tra le diverse realtà economiche, culturali, ambientali che vivono ed operano nella nostra città, sia il primo passo e certo il più importante per costruire una città sostenibile che possa reggere il confronto con realtà europee analoghe. Per questo chiediamo il  contributo di tutti, semplici cittadini ma anche associazioni.
La lista Civica Arcobaleno,  nella sua nuova veste, insieme a Sel (Sinistra, Ecologia e Libertà) per Nichi Vendola, si mette a disposizione per discutere insieme i problemi e per raccogliere osservazioni, suggerimenti e idee, affinché si possa elaborare un programma elettorale, della maggioranza che sosterrà candidato sindaco Giancarlo Piva, che sia il programma di tutti i cittadini.
Con questo intento vi invitiamo a partecipare all’incontro pubblico che si terrà venerdì prossimo 4 marzo alle 21 nella sala civica di vicolo Mezzaluna.

Lista civica Arcobaleno-Sinistra Ecologia Libertà con Nichi Vendola

mercoledì 16 febbraio 2011

Sul Revamping


COMUNICATO STAMPA

Este

Il neonato Circolo Sel Bassa Padovana, insieme alla Lista Civica Arcobaleno di Este, esprimono solidarietà ai Comitati "Lasciateci Respirare" ed "E Noi?", destinatari di una richiesta di risarcimento danni di € 160.000,00 da parte di Italcementi S.p.a. per asserita diffamazione oltrechè alle amministrazioni del centro sinistra di Este e Baone che hanno manifestato la loro opposizione al revamping. 
Il nostro partito, assieme alla Civica, ritengono questa richiesta irricevibile da parte non solo dei Comitati ma anche di tutti i cittadini dell'area, i veri danneggiati dalla ingombrante e pericolosa presenza di una produzione che da decenni emette in aria tonnellate di inquinanti, come Pm10 ed altre sostanze.
Chiediamo alla Fillea-C.g.i.l. e alla Filca Cisl di  prendere responsabilmente le distanze dalle direttive della multinazionale, chiedendo alla direzione di ritirare la citazione contro i comitati.
Riteniamo infatti che solo così si possa ricostruire un rapporto unitario tra operai e cittadini nella prospettiva di un diverso modello di sviluppo per il nostro territorio, non più basato sulla cementificazione.
Temiamo che le cementerie, come già paventato dalle associazioni ambientaliste e da numerosi esperti, possano riconvertire nel breve-medio periodo la produzione del cemento all'utilizzo del cdr (combustibile da rifiuti) affossando così in modo irreparabile ogni possibilità di promuovere una nuova green economy.
Il costo sociale ed umano che la nostra collettività sostiene già oggi in termini di malattie bronco-polmonari è notevole.
Milioni di euro che si potrebbero investire in produzioni eco-compatibili per la salvaguardia del paesaggio, della salute e della felicità di chi  abita nel nostro territorio.
Riteniamo infine che il ricatto occupazionale non funzioni.
Poco meno di  cento dipendenti possono  venire ricollocati, nell'arco di qualche anno, nel territorio.
Nel nuovo ospedale Unico, ad esempio, che sorgerà entro breve a Schiavonia.
E' necessario un Tavolo occupazionale della Bassa Padovana che riunisca tutti i soggetti interessati per elaborare e programmare l'economia futura del nostro territorio e la salvaguardia occupazionale dei suoi residenti.

lunedì 7 febbraio 2011

Quando gli alberi si misero a viaggiare



di Francesco Erbani, la Repubblica, 05/04/2007


La storia del melo è esemplare fra le tante storie di alberi da frutto di cui Giuseppe Barbera narra in Tuttifrutti (Mondadori, pagg. 201, euro 9,40, con prefazione di Carlo Petrini), un libro che dietro il titolo rockettaro racconta invece la grande, favolosa, ma a tratti triste avventura del rapporto fra gli uomini e l'ambiente. Barbera insegna Colture arboree all'università di Palermo. Nella Valle dei Templi di Agrigento ha allestito un museo che raccoglie millecinquecento alberi i quali documentano trecento varietà di mandorli. Poco più in là, nel vallone profondo fra il Tempio dei Dioscuri e quello di Vulcano, insieme a un altro agronomo, Giuseppe Lo Pilato, e al Fai, ha riportato alla luce il giardino della Kolymbetra, dove ai tempi della città greca c'era una piscina con pesci e cigni, e che ora, dopo essere stato abbandonato per decenni, è di nuovo uno spettacolo di orti e di agrumi che ha la forza suggestiva di contrastare l'abusivismo edilizio che vilipende la Valle.
Il libro di Barbera è una storia culturale dell'albero da frutto, si aggira fra botanica, letteratura e mito, fra agronomia ed economia. E ogni capitolo è intestato a un albero: albicocco, arancio, carrubo, castagno, ciliegio, fico, ficodindia, limone, fino a pistacchio e susino. La storia inizia diecimila anni fa, quando gli uomini, stanchi di vagare fra le boscaglie africane, impararono i rudimenti della tecnica agricola e diventarono più stanziali. Ma per allevare gli alberi da frutto occorreva una città e quindi si attesero ancora cinquemila anni prima che si giungesse a prodotti commestibili. «La frutticultura», annota Barbera, «compie i suoi primi passi in compagnia della scrittura, della religione, della filosofia e della metallurgia». Segna la nascita della civiltà. Ma fa anche emergere un orizzonte simbolico meno dominato dalla paura. L'albero delle foreste cresceva e moriva, e soprattutto giganteggiava, inducendo negli uomini un senso di sottomissione che scompare con l'albero fecondo, che invece dona i suoi frutti e che stimola una migliore confidenza con la natura.
L'albero da frutto, racconta Barbera, viaggia da un continente all¿altro, arriva in Europa dalla Cina, dalla Mesopotamia, dalla Palestina, dalle Indie occidentali e diventa il protagonista del paesaggio mediterraneo soprattutto quando, dopo la rivoluzione agraria avvenuta nell'Ottocento, dal chiuso di un giardino dilagherà sulle colline e nelle pianure e si arrampicherà sui fianchi delle montagne o disposto sui terrazzamenti. È un'evoluzione controllata dall'uomo, che riordina i paesaggi seguendo consuetudini antiche, ma anche innovando - e innovando nel rispetto di un codice genetico, di uno statuto dei luoghi.
Storia culturale degli alberi significa intanto storia delle colture, della sapienza contadina che innerva le discipline agronomiche fino a quelle a più alto contenuto scientifico. E di questi acquisti della civiltà il libro di Barbera è ricco di esempi. Ma storia culturale è anche quella che raccontano le esperienze letterarie. Per definire la luminosità di un dipinto, Virginia Woolf scrive che ha qualcosa «di roseo e morbido, di splendente e tenero come le albicocche pendenti da un muretto di mattoni nel sole pomeridiano». Carlo Emilio Gadda, invece, includeva le albicocche fra «i materiali preziosi, limpidamente tramutabili in vita, il più accreditato precedente del mio cervello donde irrorare di vitamine e rifornire d'idrati la città senza frutto». Il carrubo lo ritroviamo nell'epopea di Gilgamesh e iscritto nell'onomastica dei Malavoglia di Giovanni Verga - la Mangiacarrube. E quando la letteratura declina verso le parole in musica, conservando comunque l'aspetto di grande documento antropologico, si ascolta il rimpianto di un'Italia primi Novecento che si cibava di zuppa di ciligie secche con pane bollito: «Reginè quanno stive cu mmico / nun magnave ca pane e cerase, / nui campavamo 'e vase, e che vase / tu cantave e chiagnive pe' me» (le cerase in napoletano sono appunto le ciliegie).
Barbera racconta poi le sorprendenti avventure storiche e botaniche del ficodindia che si possono intitolare alle meraviglie della biodiversità. Dopo la scoperta dell'America in entrambi i continenti prevalse la reciproca diffidenza. La paura induceva a guardare alla diversità dei prodotti dell'uno e dell'altro come una nebulosa piena di insidie. Una paura culturale e non biologica. Il ficodindia ha origine azteca e ai primi conquistadores penetrati nelle foreste centroamericane apparve come «la più selvatica e la più brutta» delle piante del nuovo mondo, una specie di alieno rispetto alle migliaia di specie che popolavano la flora europea. Ma dopo qualche tempo, il ficodindia aprì un varco e prese a colonizzare l'agricoltura mediterranea, uscì dai giardini delle corti dove veniva esibito come fenomeno eccentrico e diventò uno degli elementi paesaggisticamente distintivi delle colture siciliane, per esempio, inserendosi nei nuovi ambienti con straordinario spirito di adattabilità, finendo per essere assimilato come tipico di un habitat mediterraneo. Gustave Flaubert, per esempio, disegna con i fichidindia il paesaggio cartaginese dove si svolge il dramma di Salammbô.
E arriviamo così al melo, la cui storia sintetizza quella recente del paesaggio agrario, segnata dal degrado. In generale i frutteti, sopravvissuti per secoli ai bordi delle città, sono stati i primi baluardi a cadere sotto i colpi della dissennata espansione urbana avviata negli anni Cinquanta del Novecento. Ne sono triste documento i giardini di agrumi nella Conca d'Oro intorno a Palermo, e in particolare quelli dove nel secondo dopoguerra venne messo a punto il Tardivo di Ciaculli, un mandarino con pochi semi che matura fra febbraio e marzo: quei giardini sono assediati dalla mafia e dall'ingordigia della speculazione edilizia.
L'altro aggressore dei frutteti che tanta ricchezza apportarono all'agricoltura è la coltivazione industriale che ha specializzato le colture - tutto mais, tutto soia, tutto girasole - e banalizzato i paesaggi, abolendo siepi, alberature e piantagioni promiscue. Il melo, l'albero più diffuso al mondo, è stato vittima di questi processi. Fino agli anni Sessanta, scrive Barbera, in un ettaro di terra si piantavano da cento a cinquecento alberi alti anche otto metri, oggi si arriva a tredicimila, mai più alti di due metri, sostenuti da pali di cemento e fili di ferro, concimati chimicamente e protetti con teli di plastica. È la mitologia della produttività, la quale impone, spiega Barbera, la rincorsa a varietà che incontrino il gusto globale e in grado di resistere anche dodici mesi. E come tutte le mitologie, anche questa nasconde una falsa credenza, quella di contrastare con la quantità invece che con la qualità le mele che si producono in luoghi con costi di manodopera anche cento volte inferiori ai nostri.
Dagli anni Sessanta non è più possibile arrampicarsi sugli alberi di mele. Sopravvivono come delle rarità protette alcune antiche varietà, le Annurche, la Roggia, la Panaia, la Broccia, la Bianchina, la Rosa, la Ciucca, la Conventina, ognuna delle quali associata a un determinato luogo e a uno specifico paesaggio, «frutta / con dentro ancora una volta, tutta la campagna, sconfinata», avrebbe detto Rainer Maria Rilke.