martedì 20 marzo 2012

Quel moloch di Italcementi che minaccia il Parco Colli Euganei

Tratto dalla rivista Micromega on line

Tra il verde del Parco Colli Euganei e cittadine artistiche come Arquà Petrarca, Veneto, il consiglio di Stato – ribaltando la decisione del Tar – ha acconsentito la costruzione di un forno verticale alto 89 metri: un moloch tra i monumenti, emblema dell’arroganza del partito del cemento. Senza considerare l’alto impatto d’inquinamento sulla zona.

di Beatrice Andreose

Nemmeno la fantasia più strampalata avrebbe potuto sortire conclusione più balorda. Un forno verticale alto 89 metri, targato Italcementi, in pieno Parco Colli Euganei (Pd), per il Consiglio di Stato vanta “una qualità architettonica apprezzabile, in linea con le tendenze dell’architettura contemporanea che attribuiscono alle strutture verticali ad elevato contenuto tecnologico la funzione di riqualificare i siti nei luoghi deteriorati (...)". Una novella piramide davanti il Louvre, insomma. Arte contemporanea che dialoga con l’antico!
Queste le premesse che hanno portato i giudici, improvvisatisi in arditi e spericolati paesaggisti, ad accogliere le richieste di Pesenti rovesciando così una sentenza del Tar Veneto a suo tempo promossa dai comitati “Lasciateci respirare” ed “E noi”, che gli vietava di poter effettuare il revamping (una ristrutturazione degli impianti) da 160 milioni di euro della sua cementeria in quel di Monselice. Così Arquà Petrarca, uno dei borghi medievali più belli d’Italia, la casa dove morì il poeta e la sua tomba, meta di pellegrinaggio per moltissimi turisti e letterati che ogni anno arrivano da tutto il mondo, avranno come sfondo questo moloch, monumento all’arroganza del partito del cemento, per altri trenta anni. Gratterà il cielo di quei colli Euganei che il poeta inglese Shelley immortalò in un suo poemetto, ma che oltre ad una bellezza straordinaria vantano anche la più alta concentrazione europea di cementifici, ben tre nell’arco di otto chilometri (la Cementizillo ad Este e Radici a Monselice) che producono ben il 60% del cemento nel Veneto, regione che a sua volta detiene il primato europeo di produzione di cemento, ben 700 kg per abitante contro i 300 della Germania.
Nemmeno una riga, nelle numerose pagine della sentenza, è stata riservata al Piano Ambientale del Parco Colli Euganei, progettato da Roberto Gambino e Paolo Castelnovi, che all’art. 19 definisce come incompatibili con l’esistenza del Parco le industrie cementiere. Giudici smemorati, infine, persino della Costituzione che tutela al sommo grado il valore estetico- culturale del paesaggio il quale, secondo la sentenza della Corte Costituzionale 151/1986, non deve mai essere subordinato “ad altri valori, ivi compresi quelli economici”.
Morale della favola: mentre i Comitati, e con loro le due sole amministrazioni di Baone ed Este, insieme alle parrocchie che invitano ad una riflessione ragionata, ritenevano il revamping una nuova costruzione, il Consiglio di Stato lo considera un semplice ammodernamento. Contro i primi tutti gli altri soggetti pubblici coinvolti: l’ente che avrebbe dovuto opporvisi, il Parco Colli Euganei, che in cambio di un milione di euro per sistemare le frane nei colli, ha accolto il revamping, con insignificanti correttivi, assieme al Soprintendente ai beni culturali e paesaggistici del Veneto Ugo Soragni, alla Regione Veneto guidata dal governatore leghista Luca Zaia, alla Provincia di Padova, al Comune di Monselice (sindaco l’azzurro Francesco Lunghi), alla maggioranza dei 15 comuni dell’area collinare, inizialmente contrari al progetto, ma poi “convertiti sulla via di Italcementi”.
Un paesaggio di rara bellezza, dunque, la cui conservazione e tutela è rimossa dagli amministratori veneti, disposti ad abdicare alla sua valorizzazione in nome della produttività e della conservazione del lavoro. Accanto a loro le organizzazioni sindacali di categoria, in prima fila la CGIL della segretaria generale Camusso che in una sortita veloce in cementeria qualche mese fa ha optato per la salvaguardia del problema occupazionale, sposando così la tesi dell’azienda secondo cui il nuovo forno verticale sarebbe «altamente efficace, competitivo e all´avanguardia sul fronte della tutela ambientale».
Così, mentre l’Unione Europea multa i comuni italiani per la mancanza di azioni efficaci a contenere o diminuire l’inquinamento da Pm 10, i tre impianti sputano nell´aria in un arco di otto chilometri in un anno ben 1.700.000 tonnellate di anidride carbonica, 170 tonnellate di polveri sottili, con leucemie e tumori in aumento, in una percentuale superiori del 30 per cento alla media nazionale. Nel registro E-PRTR (registro europeo delle emissioni e dei trasferimenti di sostanze inquinanti) che si basa sulle dichiarazioni fatte dalle aziende, Italcementi dichiara di aver emesso nel 2008 tonnellate e tonnellate di sostanze pericolose per la salute umana: Benzene 4,14 t, Biossido di Carbonio 834.000 t, Mercurio e composti (espressi come Hg) 22,9 Kg, Ammoniaca NH3 14,4 t, Ossidi di Azoto (NOx - NO2) 1880 t, Bifenil policlorurati (PCB) 889 g, Ossidi di azoto (SOx - SO2) 527 t. Poca cosa, dunque, per amministratori e sindacato.
Paradossale, inoltre, che mentre la produzione annua pro capite di cemento del Veneto diminuisce sempre più passando dai 1200 kg del 2004 ai 700 del 2010, Italcementi progetti un revamping da 160 milioni di euro mettendo così in mora un intero territorio che nell’arco di appena 8 km dovrà sopportare un mega forno che brucerà 110.000 t/a di Pet-coke, la cui pericolosità è ormai riconosciuta, ed altri rifiuti speciali utilizzati come sostitutivo alle materie prime: si prevedono 267.000 t all’anno di gessi chimici, ceneri pesanti provenienti da combustione di rifiuti solidi urbani e CDR, fanghi e polvere di segagione marmi, sabbie esauste di fonderia, scorie di acciaieria, etc. Senza contare la ricaduta nei prodotti agroalimentari della zona, sollevata di recente dall’eurodeputato Andrea Zanoni al parlamento europeo.
Infine un dato economico-finanziario: la multinazionale del cemento, che vanta 59 cementerie e 350 centrali di calcestruzzo in tutto il mondo, nel 2011 ha avuto un utile netto di 91,2 milioni di euro contro i 197, registrati appena un anno prima. L’utile per azione è crollato, nello stesso periodo, da 0,183 euro a 0,007 euro. In questo investimento l’azienda dovrà, per ottenere dei profitti, ammortizzare almeno 20 milioni di euro l’anno. Coi tempi di grave crisi del mercato del cemento è difficile pensarlo, anche per i più sprovveduti o ottimisti dei previsori. Ed Italcementi si può accusare di tutto fuorché di essere sprovveduta nelle sue analisi economiche. Fondato, quindi, per questo, il timore degli ambientalisti che temono l’utilizzo, al fine di garantire un profitto dall’investimento, del combustibile da rifiuto nel processo produttivo.
Tre infine le considerazioni più importanti: una riguarda la classe politica ed amministrativa locale irresponsabile e, soprattutto, inadeguata politicamente e culturalmente ad accogliere la sfida posta dalla crisi del settore che anche in loco registra una diminuzione della produzione del cemento pari al 40%. Nessun coraggio o cambio di paradigma circa la programmazione condivisa col territorio verso una conversione ecologica di queste produzioni. La seconda considerazione riguarda il ceto imprenditoriale, incapace di mettere la propria esperienza al servizio di nuovi progetti, investendo in produzioni sostenibili ed innovative. La terza riguarda il sindacato schierato in prima fila in difesa del revamping e convinto oppositore degli ambientalisti. In questo caso l’arretratezza culturale dei suoi dirigenti va di pari passo alla difesa corporativa di un ceto operaio il cui posto di lavoro è minacciato da crisi e delocalizzazione dell’assetto produttivo. Certo è facile parlare di ambiente ma è difficile farlo capire ad operai che rischiano di perdere il lavoro. Ma questo è l’unico percorso ipotizzabile. Ecco perché i Comitati parlano di alternative economiche possibili che non danneggino l’ambiente, alternative all’attuale devastazione del paesaggio e della salute.
Il Veneto non è solo una summa inquietante di paesaggi feriti da cementificazione e capannoni, sconta anche una classe dirigente inadeguata ed incapace di pensare il bene comune.

(17 marzo 2012)

mercoledì 7 marzo 2012

8 marzo: la donna nell'antichità

Un omaggio alle nostre lettrici

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Quella escort di Nerone che divenne imprenditrice

La storia di Calvia Crispinilla: ad Este ritrovati bolli di anfore da lei prodotte

Situla Benvenuti


di Beatrice Andreose

ESTE. Bella, Crispinilla, lo deve essere senza dubbio stata. Almeno nel periodo in cui faceva la magistra libidinum presso l’imperatore Nerone. Poi, abbandonato il ruolo della escort dell’antichità, è diventata soprattutto abile. Una imprenditrice ante litteram tanto da acquistare col denaro guadagnato alla corte dell’ imperatore alcune tenute in Puglia, nel tarantino, ed altre in Istria, perché di lì era originaria, dove coltivava viti e uliveti. Non solo. A metà del I secolo dopo Cristo, Crispinilla fu anche proprietaria di numerose fornaci che producevano anfore, idonee a contenere olio e vino, provenienti probabilmente dai suoi stessi possedimenti.



Stili scrittori
A testimonianza del suo passaggio in terra veneta ci sono dei bolli di fabbrica di anfore olearie trovati nell’Atheste romana . «Non era l’unica però. C’è anche Vicilia Liberalis, imprenditrice nel campo dei laterizi. O Ostiala Gallenia (I sec. a.C.) e Ivanta Voltiommnina (V sec .a.C.) ricordate in alcune stele figurate che rivelano il prestigio delle famiglie aristocratiche che esse rappresentavano» commenta la dottoressassa Cinzia Tagliaferro che domenica prossima 11 marzo alle 16 guiderà i visitatori al Museo Nazionale Atestino in una visita dedicata alla figure femminili attraverso le testimonianze archeologiche.
Tomba di Nerka
Nel Venetorum angulus, attraversato sin dalla preistoria dalle grandi vie dell’ambra,dei metalli e del sale, le donne godevano di un indiscusso prestigio sociale. Sono principesse ma anche imprenditrici, sacerdotesse e dee, giocano un ruolo importante per la storia di un popolo ritenuto dagli studiosi, nell’Italia antica, secondo solo a quello etrusco. Una di esse è, nel III secolo a.C., Nerka Trostaia la cui tomba principesca, una casa di lastre di pietra, è fedelmente ricostruita al piano terra del Museo Nazionale Atestino. Donna potente, dal prestigio indiscusso, con splendidi gioielli in oro, ambra e argento. Ricca, molto ricca, porta con sè nell’oltretomba stoffe preziose e splendidi gioielli celtici, vasi etruschi da banchetto ed un cratere attico che parlano della cultura globalizzata di questa signora che ben rappresentava la donna veneta, famosa nell’antichità per le sue vesti raffinate chiuse in vita da stretti cinturoni decoratissimi. Ma l’emancipazione delle donne venete inizia nel VII secolo a.C. «Il prestigio femminile si nota dall’esuberanza degli oggetti nei corredi funerari, dalle collane in oro ed ambra provenienti da terre esotiche (dal Baltico al Mediterraneo) e dalle situle non più di terracotta ma di bronzo come quella del marito -prosegue l’archeologa - In alcune tombe vengono rinvenuti anche degli scettri, evidente segno di comando».
E femminile è anche la divinità più importante dei veneti antichi legati a forme di società e di culto matriarcale. Il santuario più importante del pantheon veneto, che funziona dal V secolo a.C. fino al III secolo d. C, è dedicato a Reitia, dea guaritrice, che aiuta i ragazzi e le fanciulle nei riti di passaggio legati alla fine della pubertà e all’inizio della vita di guerriero o di sposa. Nelle moltissime lamine sono rappresentate donne col capo coperto da uno scialle che rappresentava , probabilmente, la cerimonia legata alla preparazione al matrimonio. Alla donna è riservata anche un’altra importante e potente funzione sociale: quella della scrittura. Nel santuario atestino, infatti, sono stati trovati migliaia di stili scrittori in bronzo dedicati alla dea. Portano inciso il nome delle donatrici, tutte donne. Si suppone per questo che la scuola di scrittura fosse appannaggio di giovani sacerdotesse, donne potenti e indipendenti.
Sarebbe potuto diventarlo anche una infans regale di tre anni, figlia di principi paleoveneti, le cui ceneri sono state trovate nella situla definita da Giulia Fogolari il poema epico delle genti atestine. Quanto dolore e amore regali sono contenuti nella situla Benvenuti, vero e proprio capolavoro del VII secolo a.C., una teoria di vegetali e animali reali e fantastici a cui si uniscono anche scene narrative che rappresentano l’immaginario di una élite aristocratica.
Ad accompagnare una delle due olletta-ossuario alcuni oggetti tra cui uno scettro di lamina bronzea ed un sontuoso addobbo, probabilmente un vero e proprio vestito su cui dovevano essere applicati una collana e un altro telo o vestito che avvolgeva le piccole ossa e che doveva essere chiuso da una fibula trovata “sopra alle ossa”. La deposizione di una piccola principessa morta prematuramente ed a cui viene affidato il compito di rappresentare la sua potente famiglia. Segno evidente dell’importanza della donna nella antica società veneta.





martedì 6 marzo 2012

Contro il revamping Italcementi: assemblea affollatissima a Valle San Giorgio


  Troppo piccola la sala di Villa Mantua per contenerle tutte (oltre un centinaio) e così decine di persone hanno preso posto nell'atrio per ascoltare i numerosi interventi. Ieri sera si è tenuto a Baone l'incontro proposto dai Comitati per analizzare la sentenza del Consiglio di Stato, che capovolgendo il pronunciamento del Tar Veneto, ha completamente accolto le tesi di Italcementi e di fatto, spianato la strada al Revamping dello stabilimento di Monselice. Tra i presenti il Sindaco di Baone, consiglieri comunali di Monselice, Este, Baone, Battaglia Terme, Cinto Euganeo, consiglieri e assessori del Parco, esponenti di comitati e associazioni ambientaliste, ma soprattutto tanti cittadini. Dopo una breve introduzione è intervenuto l'avv. Davide Furlan che ha illustrato la sentenza del Consiglio di Stato, evidenziando diverse incongruenze e aspetti non considerati, rilevando i passaggi in cui maggiormente emergeva una coincidenza con le interpretazioni del Piano Ambientale, fatte proprie dai sostenitori del Revamping. Va detto, che nella corposa sentenza, mai una sola volta è ripreso e ricordato l'aspetto essenziale del P.A. che definisce i cementifici come "incompatibili" con le finalità del Parco. Il quadro dei ricorsi in atto è stato completato poi daFrancesco Corso, che ha riproposto la volontà dei Sindaci di mantenere in piedi questi procedimenti, il primo dei quali è stato fissato per il 2 maggio al Tar del Veneto e riguarda l'impugnazione degli atti che hanno portato la Provincia a dare l'autorizzazione al Revamping. Il secondo, non ancora fissato, sarà al Consiglio di Stato, dove si chiede che i Comuni di Este e Baone siano coinvolti nella convenzione siglata solamente da Parco, Italcementi e Comune di Monselice.
Ha preso la parola Daniele Todesco, Presidente del Comitato “Valpolicella 2000” che con altri si sta battendo contro il Revamping del cementificio di Fumane (VR). Ha sottolineato l’importanza di spiegare bene ai cittadini le conseguenze sulla salute dovute alle emissioni, ma in particolare di coinvolgere le categorie economiche direttamente coinvolte dalle emissioni e dalle attività di questi impianti. Nel loro caso, ad esempio i viticoltori, dove si produce il famoso “amarone”, hanno preso una posizione precisa.
Silvia Mazzetto del Comitato “E NOI?” ha espresso il rammarico per l’esito della sentenza ma ha posto l’accento sull’importanza di seguire con attenzione i prossimi passaggi amministrativi, tra i quali l’autorizzazione Integrata ambientale della Provincia e il permesso a costruire che è in capo al Comune di Monselice.
A seguire, Francesco Miazzi per il Comitato “lasciateci respirare” che ha riportato il quadro alla sua dimensione originale, ricordando che la battaglia è per l’applicazione dei passaggi stabiliti per i 3 cementifici, definiti incompatibili, sollecitando la richiesta di un’azione più incisiva per l’avvio di un “Accordo di programma” complessivo, che dia risposte anche ai lavoratori impiegati. Ha esortato tutti a non subire passivamente l’esito di questa sentenza e di non rassegnarsi al futuro imposto dai cementieri e da una classe politica collusa. Ha posto alla discussione una serie di proposte, tra le quali un convegno su “paesaggio e dintorni” per creare un’attenzione nazionale sull’infausto progetto, una commissione medica per richiedere e avviare uno screening sulla popolazione residente (questo alla luce di recenti risultati che evidenziano presenza di diossina nel latte materno attorno a inceneritori e impianti industriali). Infine ha lanciato la proposta di analizzare e avviare le procedure per un “referendum consultivo” sulla questione Revamping e cementifici.
Altri interventi di Lorenzo Nosarti (rileva il rischio per l’uso dei rifiuti e le possibili infiltrazioni mafiose), Francesco Corso (propone di prendere in considerazione l’idea di estendere il referendum a tutto il territorio interessato dalle emissioni), Antonio Rota (rilegge in forma critica gli articoli del piano ambientale relativi ai cementifici, rilevandone le contraddizioni), Leandro Belluco (rende evidente la sofferenza nei bilanci aziendali, il calo di produzione, la forte riduzione di manodopera prevista, gli effetti dovuti all’uso dei rifiuti come sostitutivo alla materia prima), Gianni Sandon (riporta la questione al ruolo del Parco e della politica nella definizione del futuro di questi impianti e di questo territorio),Beatrice Andreose (invita tutti a lavorare per coinvolgere nel dibattito la popolazione di Este dove si trova il cementificio Zillo e responsabilizzare tutta l’area dei Colli). E poi diversi cittadini che hanno posto domande, fatto proposte e invitato tutti a non lasciare nulla d’intentato.
Il dibattito, vivo e partecipato, si è concluso pochi minuti prima della mezzanotte, con l’impegno per tutti di approfondire ed estendere le proposte e un nuovo appuntamento subito, lunedì 12 marzo, stesso posto e stessa ora. Questa comunità non sembra abbia nessuna intenzione di arrendersi…