mercoledì 31 agosto 2011

Caro Vendola, facciamo ricorso



Pubblichiamo una lettera aperta inviata stamattina a Nichi Vendola, attraverso Il Manifesto, dai due giuristi Alberto Lucarelli e Ugo Mattei che insieme ad altri hanno elaborato i quesiti per i referendum appena vinti contro la privatizzazione della gestione dell'acqua. Al Presidente della Regione Puglia chiedono di presentare,nella sua veste di Governatore, davanti la Corte Costituzionale un ricorso diretto di incostituzionalità del Decreto 138\2011.










Caro Presidente Vendola,

siamo i due giuristi che, dopo aver elaborato insieme ad altri colleghi i quesiti per i referendum contro la privatizzazione dei servizi pubblici locali (referendum n. 1) e contro la possibilità di trarre profitto dal servizio idrico integrato (referendum n. 2), abbiamo patrocinato con successo di fronte alla Corte Costituzionale, il 12 gennaio 2011, la questione della rilevanza costituzionale ed europea dei beni comuni.
  Oggi ci troviamo di fronte ad un attacco senza precedenti ai beni comuni, portato avanti sul piano politico, giuridico e costituzionale, che cerca di azzerare i risultati fin qui raggiunti attraverso la battaglia referendaria. Ci permettiamo perciò di scriverLe in quanto Lei è fra i pochissimi leaders politici sensibili alla questione dei beni comuni e del necessario ripensamento del rapporto fra pubblico e privato (vogliamo ricordare Luigi de Magistris che ha voluto un assessorato specifico ai beni comuni e la cui giunta sta provvedendo in questi giorni alla ripubblicizzazione del servizio idrico) a essersi conquistato una posizione istituzionale tale da poterci consentire l'accesso, in via diretta, alla Corte Costituzionale. Come ben sa, avendo già sperimentato questa via proprio a proposito dell'abrogato Decreto Ronchi, nel nostro ordinamento una Regione, e non il Comune, può impugnare una legge o atto avente forza di legge di fronte alla Corte Costituzionale entro sessanta giorni dalla sua entrata in vigore. Abbiamo perciò un po' di tempo, ma non moltissimo, per preparare una memoria stringente, capace di porre anche le più alte istituzioni del paese di fronte ai loro ineludibili obblighi costituzionali.
  Le scriviamo questa Lettera aperta anche a nome delle 5000 persone, amministratori, associazioni e gruppi politici sensibili alla questione dei beni comuni che in pochi giorni hanno sottoscritto l'appello che, insieme ad altri giuristi estensori dei referendum, abbiamo lanciato dalle colonne di questo giornale (www.siacquapubblica.it) e intendiamo raccogliere le firme durante tutto l'iter di conversione del Decreto per presentarle infine al Presidente Napolitano.
A nostro avviso infatti non solo l'art. 4 del decreto legge n. 138 del 13 agosto 2011, beffardamente rubricato "Adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa europea", ma l'intero impianto della "manovra" di ferragosto è profondamente incostituzionale, violando fra l'altro prerogative di autonomia degli enti locali, precedenti decisioni della Corte Costituzionale, nonché lo spirito di quel nuovo diritto pubblico europeo dell'economia, che faticosamente tenta di affermarsi. La manovra di ferragosto infatti è testimone del clima da shock economy che è stato creato in Europa e che sta condizionando la politica del governo italiano e l'atteggiamento "responsabile" delle opposizioni. Una complessa rete di poteri forti, economici e finanziari ha costruito un dispositivo politico e mediatico che fonda su una presunta improcrastinabile urgenza l'evidente tentativo del neoliberismo di ristrutturare la propria egemonia che la grande crisi ha reso progressivamente meno persuasiva. L'esito di questa politica altro non può essere che un nuovo saccheggio.
In Italia i referendum di giugno e le vicende elettorali di Milano con Pisapia e di Napoli con de Magistris hanno inflitto una netta sconfitta al blocco bipartisan che negli ultimi vent'anni ha portato avanti una politica economica e culturale del tutto coerente con il dispositivo ideologico neoliberista. Prodromica alla "primavera italiana" è stata la Sua conferma come Presidente della Puglia, voluta dal popolo pugliese sconfiggendo proprio Massimo D'Alema, probabilmente il politico italiano che maggiormente incarna l'essenza bipartisan del neoliberismo. In sintesi, tale concezione ci pare essere l'idea che "il privato" sia la soluzione per ogni problema di organizzazione sociale complessa, il solo motore che rende possibile sviluppo e "crescita". Questa concezione produce un susseguirsi di mosse politiche volte a trasferire sempre nuovi spazi e soprattutto nuove risorse pubbliche al privato, sotto diverse forme, siano esse liberalizzazioni, privatizzazioni, dismissioni, grandi appalti, (e naturalmente guerre). Incredibilmente tale politica reazionaria ha preso il nome di riformismo!
  Negli ultimi anni, a livello globale e poi anche locale, un pensiero ed una narrazione alternativa, di cui Lei è uno dei più autorevoli esponenti, si è fatto strada dapprima in modo carsico e poi , finalmente, con i referendum del giugno scorso, in modo politicamente maggioritario. Oltre 27 milioni di italiani, la maggioranza assoluta degli elettori, ha dichiarato inequivocabilmente, tramite uno strumento complicatissimo quale il referendum abrogativo, ex art. 75 Costituzione, che occorreva "invertire la rotta", che il privato non è necessariamente "la soluzione" ma molto più sovente "il problema", che occorre immaginare una ristrutturazione fondativa del settore pubblico, capace di renderlo aperto, partecipato e in grado di portare avanti l'interesse pubblico e non soltanto quello privato dei poteri forti che sempre più spesso controllano le istituzioni di politica rappresentativa.
La virulenza costituzionale di questo attacco impressiona e travolge i capisaldi più profondi della nostra costituzione economica, in primis gli articoli 41 (iniziativa economica privata), 81 (bilancio) e 53 (progressività della contribuzione fiscale). Colpisce in particolare la disinvoltura eversiva con cui si maneggia una materia tanto delicata e fondativa di un ordine giuridico legittimo quanto quella della gerarchia delle fonti del diritto. La manovra mette in moto una sorta di processo costituente emergenziale de facto, che anticipa gli effetti di una riforma costituzionale destinata a travolgere i soggetti più deboli ed i beni comuni e che struttura (complice la Lega) un centralismo autoritario che distrugge il pluralismo politico e costituzionale di cui al Titolo V della nostra Costituzione, nonché i principii europei della sussidiarietà e della coesione sociale e territoriale.
Sul piano politico, la retorica della responsabilità e della condivisione interclasse necessaria per superare la crisi sta travolgendo i tratti fondativi del nostro ordine democratico e prelude ad un dopo-Berlusconi segnato dalla discesa in campo di Montezemolo, portavoce accreditato del modello Marchionne. Siamo convinti che sul piano del diritto costituzionale vigente non possano essere riproposte né la privatizzazione\liberalizzazione dei servizi pubblici locali né brutali operazioni di centralizzazione, né provvedimenti lesivi della dignità delle persone e dei lavoratori quali quelli che conseguono all'art. 3 del decreto di Ferragosto secondo cui: «In attesa della revisione dell'art. 41 della Costituzione, comuni, provincie, regioni e Stato, entro un anno dalla data di entrata in vigore della Legge di conversione del presente decreto, adeguano i rispettivi ordinamenti al principio secondo cui l'iniziativa e l'attività economica privata sono libere ed è permesso tutto quello che non è espressamente vietato dalla legge».
Dal punto di vista dell'accettabilità politica, riteniamo inoltre che non possano essere riproposte dismissioni del patrimonio pubblico (che può invece rendere molto se ben governato), ulteriori precarizzazioni e grandi opere inutili o dannose a loro volta espressamente respinte dal voto popolare a proposito delle centrali nucleari. Le alternative e le possibilità di risparmio esistono. Diverse fra queste sono indicate dallo stesso fraseggio costituzionale nel ripudio della guerra, nella cura del territorio, nell'investimento sulla ricerca e nella progressività fiscale seria. Sta alla buona politica, per la quale Lei certamente è un punto di riferimento, elaborarle meglio nel tempo necessario e metterle in bella copia, senza cadere nella trappola dell'eccessiva urgenza.
Di fronte allo scempio morale, politico e costituzionale che il decreto pone in essere è necessaria piuttosto una reazione forte e seria che va condotta tanto con gli strumenti della politica quanto con quelli del diritto. Mentre dal primo punto di vista compete a Lei e agli altri leaders più sensibili a queste istanze proporre finalmente, in un rinnovato rapporto con i movimenti e con i cittadini, un'alternativa autentica al blocco bipartisan dominante, dal punto di vista giuridico e costituzionale siamo consapevoli che compete a noi, in quanto tecnici portatori della sensibilità e della storia politica necessaria per configurare istituzionalmente la difesa dei beni comuni, presentare nuovamente di fronte alla Corte Costituzionale le ragioni dei 27 milioni di cittadini che vogliono invertire la rotta. Insieme, nel tempo necessario, politica e diritto possono restituire ad un rinnovato settore pubblico gli spazi e l'autorevolezza necessari per governare la crisi. A breve occorre adire le vie costituzionalmente rimaste aperte sempre che il Presidente Napolitano, accogliendo l'appello di tanti cittadini, non intenda intervenire in fase di promulgazione.
Caro Presidente Vendola, noi le abbiamo scritto per metterci a disposizione, nella nostra veste di avvocati abilitati al patrocinio di fronte alle supreme giurisdizioni, per ricevere mandato, naturalmente a titolo assolutamente gratuito, da soli o insieme ad altri legali di Sua fiducia, a rappresentare la Regione Puglia (ed incidentalmente la nuova egemonia dei beni comuni) di fronte alla Consulta in un ricorso diretto di incostituzionalità del Decreto 138\2011.

Riceva un saluto cordialissimo.

Passa a sinistra: festa provinciale sinistra ecologia libertà

foto_piante/foto_piante_009x.jpg     Prosegue la festa provinciale di Sinistra ecologia libertà


Vi segnaliamo i due appuntamenti in programma per domenica 4 settembre.

Il primo è alle 19 sul tema" QUALE FUTURO PER IL PARCO COLLI?" Coordinato da Fabio CASETTO, Resp. Urbanistica SEL Padova, si confronteranno Francesco CORSO sindaco di Baone, Francesco MIAZZI consigliere comunale Monselice, Gianni SANDON, consigliere Parco Colli.
foto_piante/foto_piante_016x.jpg
Il secondo appuntamento è alle 20.30 con l'ex ministro, il fisico Gianni Mattioli. Sul palco la nostra assessora all'ambiente da una parte e il sindacalista della Fillea Cgil dall'altra.Anime diverse a confronto che promettono un dibattito senza dubbio interessante su un tema di grande attualità



AMBIENTE E LAVORO: LA SFIDA DELLA RICONVERSIONE ECOLOGICA. In campo: Beatrice ANDREOSE ex assessore ambiente comune Este, Marco BENATI segretario prov. FILLEA-CGIL, Gianni MATTIOLI comitato scientifico SEL, Lucia ZANARELLA. Arbitra Maurizio PIOLETTI resp. ambiente SEL Padova
foto_piante/foto_piante_013x.jpg

martedì 30 agosto 2011

Manovra economica: tutta da rifare




Giulio Tremonti
di Giulio Marcon

La manovra varata dal governo Berlusconi è disperata, iniqua e senza futuro. Questo provvedimento, come i precedenti, non affronta in modo strutturale il problema del debito e non mette in campo misure significative per il rilancio dell’economia. Il problema principale è proprio questo: si affronta la crisi solo sul fronte dei tagli della spesa pubblica (prevalentemente la spesa sociale), mentre non vi è una misura credibile capace di rilanciare l’economia. Anzi, questa manovra, come la precedente, ha un impatto depressivo e recessivo: comprime la domanda interna, i consumi, i salari e con essi la produzione.
A questi due elementi negativi – l’estemporaneità dei tagli e l’assenza di misure per il rilancio dell’economia- si aggiunge il forte carattere iniquo della manovra a danno dei lavoratori (in particolare i dipendenti pubblici) i pensionati ed in generale i cittadini: il taglio, pesantissimo, ai trasferimenti agli enti locali e alle regioni si tradurrà in minori servizi ed in maggiori tributi. Ancora una volta non vi sono significative misure contro l’evasione fiscale e i grandi patrimoni. Il contributo di solidarietà è stato tagliato. Lo stesso innalzamento dal 12,5% al 20% dell’imposizione fiscale sulle rendite è ancora insufficiente (sarebbe stato più equa un’imposizione al 23%) e non comprende i possessori (tra cui in gran parte le banche) dei titoli di stato.
Fino ad oggi il governo ha sbagliato praticamente tutto, diffondendo inutile ottimismo, negando la crisi, limitandosi ad interventi di facciata, aspettando inerzialmente la ripresa internazionale, non colpendo i grandi patrimoni e la finanza, salvando gli evasori fiscali, non mettendo in campo interventi strutturali per rilanciare l’economia, colpendo la dignità del lavoro ed il ruolo del sindacato, tagliando le spese sociali.
Contro il provvedimento del governo Sbilanciamoci propone una manovra di 60miliardi, di cui 30 da destinare alla riduzione del debito e 30 da destinare al rilancio dell’economia al lavoro, alla difesa del welfare (testo integrale su www.sbilanciamoci.org).







Da una parte -sul fronte delle entrate- è necessario colpire i grandi patrimoni con una imposta ad hoc, tassare ulteriormente i capitali rientrati dall’estero grazie allo scudo fiscale, ridurre le spese militari, cancellare le grandi opere. Una tassazione dei patrimoni del 5%1000 -con una limitata franchigia per i patrimoni più bassi- porterebbe un’entrata in due anni di 21miliardi euro; una tassazione aggiuntiva del 15% sui capitali rientrati grazie allo scudo, ben 15 miliardi; ed il combinato di riduzione del 20% delle spese militari, della cancellazione del programma dei caccia F35, della fine della missione in Afganistan e della cancellazione delle grandi opere, darebbe oltre 10 miliardi di euro.



Dall’altra -sul fronte degli interventi: almeno 30 miliardi- è necessario investire nella green economy (energie pulite, mobilità sostenibile, ecc), nelle piccole opere pubbliche (messa in sicurezza delle scuole, ferrovie locali, ecc), nella ricerca e nell’innovazione. Nello stesso tempo è necessario difendere i redditi più bassi (con detrazioni ed altri interventi fiscali, aumentando le pensioni minime), allargare lo spettro degli ammortizzatori sociali ai lavoratori parasubordinati (intriducendo per i monocomittenti, misure analoghe a quelle previste per i lavoratori a tempo indeterminato), rafforzare la rete dei servizi sociali (asili nido, introduzione dei livelli essenziali di assistenza, fondo non autosufficienza, ecc).



E’ questo il cambio di rotta di cui il paese avrebbe bisogno: una politica economica diversa, un modello di sviluppo alternativo a quello delle scelte neoliberiste di questi anni capace di ridare speranza e futuro ad un paese piegato in questi anni dalla logica dei privilegi e degli interessi dei più forti. Le proposte ci sono ed è ora che anche il sindacato e le forze di centro sinistra si incontrino in tempi brevi con i movimenti sociali e l’associazionismo per rendere credibile un’alternativa comune alle scelte di questo governo.




Articolo pubblicato anche sul manifesto del 18 agosto 2011

Tratto da sbilanciamoci.info
















domenica 28 agosto 2011

Ansano Giannarelli: un amico

Ansano Giannarelli è morto all'improvviso venerdi scorso 26 agosto a 77 anni a Roma. Documentarista di razza, candidato al premio oscar per il documentario nel '61, Ansano Giannarelli era mio amico personale ma anche del Premio dei Colli, il festival dell'inchiesta filmata che si tenne ad Este, grazie all'instancabile lavoro di Turi Fedele, tra il '60 ed il '71. UNa straordinaria stagione che portò in città il ghota dei documentaristi e registi italiani come Cesare Zavattini, Giuliano Ferrara, Liliana Cavani, Gianni Bisiach, Giacomo Gambetti, Mino Argentieri, Pietro Bianchi, Dino Biondi e tanti altri ancora.

Ansano Giannarelli



Ansano Giannarelli, alla mia richiesta di fornirmi la sua testimonianza sul Premio dei Colli per un volume che ho scritto nel 2007 e che ricostruisce quella straordinaria stagione, aderì con grande convinzione e passione.Aveva amato quella rassegna in cui aveva ottenuto anche importanti riconoscimenti. Per il mio libro scrisse una lunga testimonianza esordendo con queste parole "Viviamo in un periodo contradditorio per ciò che riguarda la percezione del tempo che hanno gli esseri umani. Che rapporto c'è tra la memoria e, da un lato, la velocità della comunicazione tecnologica dell'Occidente opulento, che consentono spostamenti immediati-anche se virtuali-nello spazio, e dall'altro le lentezze esasperanti nei mutamenti nelle condizioni di vita di milioni di persone in tutto il mondo, ma soprattutto in quello dello sottosviluppo? Si parla della necessità di una memoria condivisa: ma le diversità di tutti i tipi non sono mai state così evidenti come ora. La memoria sembra degna di interesse quando ci sono gli anniversari, anzichè essere permanente e quotidiana, nel collegare il passato ed il presente,e nello stesso tempo il presente è la condizione totalizzante, imposta dal flusso quotidinao dei media, marginalizzando il passato ed escludendo il futuro".
Ansano è stato per molti anni direttore delll'Archivio audiovisivo del Movimento operaio e democratico di Roma che raccoglie la memoria storica di un secolo di lotte anticapitalistiche nelle fabbriche e nelle campagne e firmò, in mezzo secolo, 50 documentari, anche per la RAI, di alto profilo artistico, scientifico e storico. Tra questi ricordo solo "Sierra Maestra" e Il bianco ed il nero". Un 35 millimetri, quest'ultimo, dedicato al problema del colonialismo per il quale rimase due anni nella foresta al seguito dei guerriglieri. Una esperienza che oltre alla sua simpatia per il "terzomondismo" gli portò anche un accentuato interesse per la sperimentazione. Assieme a Gianni Rondolino diede vita al Festival Cinema Giovani di Torino e fu un punto di riferimento per la rivista Ombre Rosse . Nacque come documentarista coraggioso, in prima fila sui fronti rivoluzionari degli anni '60, dall'Africa insorgente al sudamerica dei fuochi di guerriglia.
Sono onorata di averlo conosciuto e di lui rammento generosità e passione. Lezioni che solo un maestro può regalare.

Beatrice Andreose



giovedì 25 agosto 2011

Padre Zanotelli: tagliamo le spese militari

da Partigiani del Terzo Millennio giovedì 25 agosto 2011


PADRE ZANOTELLI: "PERCHE NESSUNO PARLA DELLE SPESE MILITARI? I SOLDI SPESI IN ARMI SONO PANE TOLTO AI POVERI"








  Nella discussione sulla manovra bis, cio' che lascia ''esterrefatto e' il totale silenzio di destra e sinistra, dei media e dei vescovi italiani sul nostro bilancio della Difesa''. Lo scrive il padre comboniano Alex Zanotelli. ''E' mai possibile - si chiede il sacerdote - che in questo paese nel 2010 abbiamo speso per la difesa ben 27 miliardi di euro?''. Eppure, ricorda, ''e' Gesu' che ha inventato la via della nonviolenza attiva. Oggi nessuna guerra e' giusta, ne' in Iraq, ne' in Afghanistan, ne' in Libia. E le folle somme spese in armi sono pane tolto ai poveri, amava dire Paolo VI''. ''Da cristiani - si chiede Zanotelli - come possiamo accettare che il governo italiano spenda 27 miliardi di euro in armi, mentre taglia 8 miliardi alla scuola e ai servizi sociali?''. ''E' mai possibile - prosegue - che a nessun politico sia venuto in mente di tagliare queste assurde spese militari per ottenere i fondi necessari per la manovra invece di farli pagare ai cittadini? ... Perche' i nostri pastori non alzano la voce e non gridano che questa e' la strada verso la morte?''.
Zanotelli conclude ricordando la tradizionale marcia Perugia-Assisi del prossimo 25 settembre e l'incontro interreligioso per la pace di Assisi, presieduto da papa Benedetto XVI, previsto per il 27 ottobre: da li', scrive, ''ci aspettiamo un grido forte di condanna di tutte le guerre e un invito al disarmo''.








No Tav: prosegue la lotta

VENAUS - BUSSOLENO 26-30 AGOSTO 2011:


un grande appuntamento internazionale


Il Forum è uno spazio di discussione e confronto aperto alle Associazioni e comitati di cittadini che difendono il loro territorio e futuro minacciati dalla realizzazione di opere inutili e/o nocive nella consapevolezza che ambiente e salute non possono essere oggetto di mediazione e baratto.

Oggi le popolazioni che hanno deciso di prendere in mano il proprio futuro dimostrano, attraverso l’auto organizzazione e senza mediazioni, che vincere è possibile e che proprio da queste lotte può nascere la speranza di un mondo più giusto e migliore.

E' una tappa del Forum Sociale Mondiale





Per info: www.11-12-2010.eu/ITA



venerdì 19 agosto 2011

FESTA PROVINCIALE DI SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' DI PADOVA E PROVINCIA




Siete tutti invitati alla festa provinciale di Sel che propone un ricco programma di incontri e dibattiti. Tra i temi il lavoro, l'ambiente, il Parco Colli, le pari opportunità. 





FESTA PROVINCIALE S.E.L.








ECCO IL PROGRAMMA... E CHE PROGRAMMA:



Sabato 27

h. 20.30 1° tempo: ECONOMIA E LAVORO: PROPOSTE PER COMBATTERE LA CRISI. In campo: Alberto BOSCAGLI imprenditore, Andrea CASTAGNA segretario prov. CGIL, Gigi PERINELLO promotore di "Ragioniamo con i piedi", Ferdinando ZILIO presidente Ascom Padova. Arbitra Etta ANDREELLA resp. economia SEL Padova

Intervallo: 15’ con un circolo SEL della provincia

...h. 22.00 2° tempo: CONCERTONE "NOTTE DELLA TARANTA" in diretta video da Melpignano (Lecce)



Domenica 28

h. 19.00 Pre-partita: PER UNA SINISTRA SENZA CONFINI: IN RICORDO DI SALVADOR ALLENDE, conversazione con Pierfrancesco BRUNELLO

h. 20.30 1° tempo: NONSOLOACQUA: I BENI COMUNI DOPO IL REFERENDUM. In campo: Valter BONAN coordinatore regionale Acquabenecomune, Marina MANCIN consigliera comunale SEL Padova, Emilio MOLINARI presidente Comitato Italiano Contratto Mondiale dell’Acqua. Arbitra Renzo SORANZO resp. enti locali SEL Padova

Intervallo: 15’ con un circolo SEL della provincia

h. 22.00 2° tempo: ‘EROI’ di e con Andrea PENNACCHI, con Sergio MARCHESINI e Giorgio GOBBO della PICCOLA BOTTEGA BALTAZAR



Lunedì 29

h. 20.30 1° tempo: GENERAZIONE PRECARIA - RIPRENDIAMOCI IL FUTURO! In campo: Francesco BRANCACCIO Unicommon, Claudio RICCIO Rete della Conoscenza. Arbitra Elena BACCHIN SEL Cittadella

Intervallo: 15’ sul XXV aprile con Floriana RIZZETTO Presidente A.N.P.I. Padova

h. 22.00 2° tempo: THE SICKLE in concerto



Martedì 30

h. 20.30 1° tempo: RIPRENDIAMOCI LA POLITICA: PRIMARIE PARTECIPAZIONE DEMOCRAZIA NELL'EPOCA DELLE OLIGARCHIE FINANZIARIE. In campo: Gennaro MIGLIORE segreteria naz. SEL, Alessandro ZAN presidenza nazionale SEL e assessore ambiente comune di Padova. Arbitra Maristella URBANO coordinamento regionale SEL Veneto

Intervallo: 15’ con un circolo SEL della provincia

h. 22.00 2° tempo: CUCHA CUCHA in concerto



Mercoledì 31

h. 20.30 1° tempo: ‘L’INFERNO SONO GLI ALTRI’: PADOVA NEGLI ANNI ’70, con proiezione di materiali inediti. In campo: Ornella FAVERO presidente ass. ‘Ristretti orizzonti’, Silvia GIRALUCCI autrice, Giovanni PALOMBARINI magistrato di Cassazione, Paolo WIECZOREK coord. circolo SEL Padova. Arbitra Sebastiano LEOTTA docente storia e filosofia

Intervallo: 15’ con un circolo SEL della provincia

h. 22.00 2° tempo: ILHAAM PROJECT in concerto



Giovedì 1

h. 20.30 1° tempo: MARE NOSTRUM? IL MEDITERRANEO TRA PRIMAVERA ARABA E AUTUNNO DELL'EUROPA. In campo: Stefano ALLIEVI sociologo UniPd, Adone BRANDALISE direttore Master Studi interculturali UniPd, Ciccio FERRARA. resp. naz. organizzazione SEL. Arbitra Elena OSTANEL resp. coop. internazionale SEL Padova

Intervallo: 15’ con un circolo SEL della provincia

h. 22.00 2° tempo: Spettacolo 'DANCEABILITY' a cura dell'associazione OTTAVO GIORNO, con Sergio MARCHESINI e Giorgio GOBBO della PICCOLA BOTTEGA BALTAZAR, ospite speciale Riccardo MAROGNA dei BubeSupràvie.



Venerdì 2

h. 20.30 1° tempo: ‘SE NON ORA QUANDO?’ RIPRENDIAMOCI I SOGNI, RIPRENDIAMOCI I DIRITTI. In campo: Lucia BASSO consigliera regionale di parità, Titti DI SALVO segreteria naz. SEL, Palma SERGIO Funzione pubblica CGIL. Arbitra Mariateresa DI RISO coordinatrice circolo SEL Padova.

Intervallo: 15’ con un circolo SEL della provincia

h. 22.00 2° tempo: ALMUDENA in concerto



Sabato 3

h. 20.30 1° tempo: ‘GUIDA AL PATRIMONIO ARCHEOLOGICO-INDUSTRIALE NEL PADOVANO’ conversazione con l’autore Lino SCALCO, presenta Sergio LIRONI presidente onorario Legambiente Padova.

Intervallo: 15’ sul REFERENDUM ELETTORALE con Attilio MOTTA coord. prov. SEL Padova e Dino FACCHINI coordinatore regionale SEL Veneto

h. 22.00 2° tempo: ‘CALDANE’ di e con ANNA MEACCI



Domenica 4

h. 19.00 Pre-partita: QUALE FUTURO PER IL PARCO COLLI? con Fabio CASETTO, Resp. Urbanistica SEL Padova, Francesco CORSO sindaco di Baone, Francesco MIAZZI consigliere comunale Monselice, Gianni SANDON, consigliere Parco Colli


h. 20.30 1° tempo: AMBIENTE E LAVORO: LA SFIDA DELLA RICONVERSIONE ECOLOGICA. In campo: Beatrice ANDREOSE ex assessore ambiente comune Este, Marco BENATI segretario prov. FILLEA-CGIL, Gianni MATTIOLI comitato scientifico SEL, Lucia ZANARELLA. Arbitra Maurizio PIOLETTI resp. ambiente SEL Padova

Intervallo: 15’ sui DIRITTI CIVILI con Augusto DA RIN, resp. diritti e laicità SEL Padova

h. 22.00 2° tempo: DIXIELAND in concerto



Lunedì 5

h. 20.30 1° tempo: LA SCUOLA CHE NON TI HO DETTO: PENSIERI E PROPOSTE PER COSTRUIRE IL DOPO GELMINI. In campo: Maria Luisa CUOCO resp. scuola SEL Padova, Domenico PANTALEO segretario nazionale FLC-CGIL, Antonella VISENTIN dirigente scolastica, Emanuele ZINATO docente UniPd. Arbitra Angelo ZUPPARDO insegnante

Intervallo: 15’ con un circolo SEL della provincia

h. 22.00 2° tempo: I DON’T KNOW in concerto





mercoledì 17 agosto 2011

Omaggio a Giacomo Matteotti



Il 10 giugno 1924 Giacomo Matteotti,deputato socialista polesano, fu rapito a Roma. Il suo corpo fu ritrovato in stato di decomposizione il 16 agosto alla macchia della Quartarella, un bosco nel comune di Riano a 25 km da Roma. Ricordiamo la figura di Giacomo Matteotti




  L'ultimo discorso di Giacomo Matteotti  in Parlamento del 30  Maggio 1924 (dalla cinematografia italiana)








mercoledì 10 agosto 2011


                                    Riportiamo un interessante intervento di Marco d'Eramo per una riflessione sulle sommosse di questi giorni a Londra. Buona lettura

Il Manifesto 10 agosto 2011

Marco d'Eramo

Attenzione, «classi pericolose»







A ragione nell'800 le chiamavano «le classi pericolose». Erano quelle classi - dai proletari in giù - che costituivano un pericolo per l'ordine borghese e la sua polizia, ed erano le classi per cui la polizia dei borghesi era un pericolo costante, una minaccia sul collo.



A leggere gli articoli, a guardare i servizi televisivi sulle sommosse urbane che in queste notti scuotono la Gran Bretagna, sembra di rivivere l'orrore del benpensantismo borghese ottocentesco di fronte alle folle «urlanti, bestiali, animalesche e minacciose».

Le sommosse di Tottenham, Hackney, Leeds, Brixton, Birmingham sono narrate come lo scatenarsi immotivato e irragionevole di una bestia primordiale. Una violenza ferina contro cui la polizia sarebbe troppo mite, mai abbastanza dura, come se fosse il permissivismo, anzi il lassismo capitalista moderno il responsabile di questi sussulti tellurici delle nostre società tecnologiche del Terzo millennio.

Non per nulla sono chiamati «disordini», perché vogliono scompigliare l'ordine, o reagire e scrollarsi di dosso un ordine che li disciplina, li sorveglia (e li punisce). Ogni volta sembra sempre la prima volta. Ogni rivolta appare inedita, imprevista, inusitata, come se sfuggisse a ogni logica.

Ma così non è. I riots, così li chiamano gli inglesi, le sommosse, le rivolte, i disordini scandiscono tutta la storia britannica, punteggiano la lunga lotta della classe operaia, accompagnano il zigzag delle discriminazioni razziali. Soprattutto sono legati a doppio filo alle recessioni economiche e alle politiche anti-popolari. Non sono «eruzioni»; sono appunto ri-volte che si volgono contro.

Basta guardare alle date dei riots per scoprire che la correlazione tra recessione, politiche liberiste e disordini è perlomeno «statisticamente significativa», direbbero gli analisti. Come non ricordare che la più «disordinata», la più «sommossa» (nel senso del participio passato), la più «rivoltata» è stata la Lady di ferro, Margareth Thatcher, seguita dal suo successore John Major. Tra il 1979 e il 1997 (data in cui salì al potere Tony Blair) si contarono quattro grandi ondate di riots. La prima avvenne nel 1981, in piena recessione economica e in piena offensiva del thatcherismo (Thatcher era diventata premier nel 1979), con i disordini razziali di Brixton (280 feriti tra le forze dell'ordine, più di 100 veicoli bruciati di cui 45 della polizia, 150 edifici danneggiati, 82 arresti), disordini che dilagarono al quartiere Handsworth di Birmingham, di Southhall a Londra, di Toxtet a Liverpool, di Moss Side a Manchester, di Hyson Green a Nottingham. Altri disordini furono registrati a Bristol, Bedford, Coventry, Edimburgo, Gloucester, Halifax, Leeds, Leicester, Southhampton, Wolverhampton.

Nel 1985 Brixton si sollevò di nuovo. E poi vi fu il grande ciclo del 1990-91 (di nuovo in piena recessione, di nuovo in piena offensiva thatcheriana con il progetto di Poll Tax): proprio contro la Poll Tax disordini scoppiarono nel 1990 in tutta la Gran Bretagna, seguiti l'anno successivo da una sommossa a Meadow Well. L'ultima ondata si abbatté nel 1995 sotto il governo di John Major, e i due riots più importanti divamparono a Manningham e di nuovo a Brixton.

In confronto, l'unica ondata seria di guerriglia urbana che dovette affrontare il governo laburista di Tony Blair prima e Gordon Brown poi fu quella del 2001 con i disordini di Bradford, di Oldham e di Harehills a Leeds: e furono anche gli unici riots in un periodo di crescita economica (per completezza, nel 2005 vi furono disordini a Birmigham).

Da questa cronologia la correlazione stretta tra politiche liberiste, crisi economica e sommosse risulta inconfutabile. Ma allora dobbiamo concluderne che anche i riots di queste notti forse dovrebbero essere interpretati alla luce della crisi e della politica del governo di David Cameron. E quindi la rivolta non sarebbe assurda, inspiegabile, gratuita, ma rientrerebbe in un preciso (e razionale) schema di comportamento politico della società inglese che si ripete con regolorità a ogni ciclo economico. Forse i tagli alla spesa pubblica decisi dal suo governo Cameron-Clegg non hanno ancora cominciato a far sentire i loro effetti; forse lo sfrondamento del welfare ancora non ha colpito duro. Ma invece la crisi occupazionale che dura da quattro anni quella sì che mazzola i ceti più fragili. E soprattutto gli emarginati percepiscono benissimo il mutato clima nell'apparato repressivo, il deteriorarsi dei rapporti con le forze dell'ordine che segue ogni svolta conservatrice del vertice politico.

Il fatto è che noi abbiamo un'immagine distorta delle recessioni precedenti, immagine che ci fa commettere gravissimi errori di prospettiva nel valutare la nostra recessione. Per esempio, tutti fingono di scordare che la Grande Crisi scoppiò nell'autunno del 1929, ma i suoi effetti in tutta la loro gravità si videro solo nel 1932, cioè tre anni dopo (quando fu eletto Franklin Delano Roosevelt). E tutti fingono di non ricordare che nel primo anno Roosevelt adottò politiche economiche tutto sommato «classiche», volte a salvare innanzitutto il sistema finanziario: e fu solo a partire dal 1933-34, cioè ben quattro anni dopo l'inizio della crisi, che si assistette alle prime grandi lotte operaie, dei tessili negli stati del sud, dei portuali sulle due coste, dei metalmeccanici a Flint e Detroit. E fu solo dopo questa impressionante mobilitazione di massa, che il presidente si decise a varare quello che noi conosciamo come il New Deal. E non lo fece a cuor leggero: tanto che, appena dopo essere stato rieletto, e quando pensò che l'economia si era ripresa, quasi otto anni dopo l'inizio della crisi, nel 1937 Roosevelt si lasciò convincere dai fautori del pareggio del bilancio e ripiombò l'America in un'altra recessione, da cui sarebbe uscita solo attraverso la seconda guerra mondiale e il «keynesismo bellico».

Insomma, gli effetti delle crisi gravi e delle politiche di austerità si vedono nel medio-lungo termine, dopo tre-quattro anni. Questo c'insegna la storia. E fra un mese appunto celebreremo i 3 anni dallo scoppio (ufficiale) della crisi, da quel 15 settembre in cui fallì la Banca Lehman Brothers e i 4 anni da quando cominciò a forarsi la bolla dei mutui subprime. I falò delle strade inglesi sono l'avvisaglia di quel che aspetta tutta l'Europa.







martedì 9 agosto 2011

No Tav: prosegue la lotta

Mentre ad Este il dibattito langue, altrove prosegue la battaglia contro le grandi opere inutili volute da questo governo e non solo. Pubblichiamo un reportage sugli ultimi giorni di lotta del movimento No Tav. 




tratto da "www.ilfattoquotidiano.it" - 7 agosto 2011



Turi sul pino a digiuno
 Alle 18 arriva Don Ciotti e va ad abbracciare Turi, che poi scende con le proprie forze e comunica l'intenzione di proseguire il digiuno con Nicola e Stefano.

Tav: ultime notizie dal fronte

Dopo tanti giorni di silenzio, pare opportuno aggiornare la situazione No Tav in Val Susa, anche perché non è che non sia successo niente, anzi, è successo molto, moltissimo. Ma andiamo con ordine.



Sul fronte cantiere, notizia bomba (alla maniera del fu Maurizio Mosca): non c'è nessun cantiere. Semplicemente è stata recintata l'area dove stanno di guardia le forze dell'ordine, ma il cantiere per il buco non c'è, non è mai iniziato. Lo ha accertato l'onorevole Vattimo del Parlamento europeo che si è recato sul posto il 15 luglio. Niente buco, niente finanziamenti europei, che scadevano a fine giugno, questa sarebbe la logica. Ma non sappiamo ancora se funzionerà così.



Altra notizia rilevante: abbiamo la dimostrazione che le forze di polizia, occupando l'area, distrussero il sito archeologico di epoca neolitica della Maddalena, nonostante che esso fosse segnalato dalla Soprintendenza. Valuteremo il da farsi, posto che il fatto è previsto come ipotesi di reato dall'art. 733 Codice Penale.



Poi, dopo le scaramucce notturne seguite alla manifestazione del 3 luglio, una grande manifestazione si è svolta da Giaglione a Chiomonte con la partecipazione di migliaia di persone, sabato 30 luglio. Alla manifestazione erano stati diffidati dal Pd (= Partito Democratico) a partecipare i sindaci della stessa area politica della valle. In realtà alcuni amministratori c'erano lo stesso e comunque la manifestazione è stato quanto di più pacifico si potesse immaginare, ed anzi diciamo pure che tutte quelle migliaia di poliziotti chiusi in un recinto facevano persino un po' tenerezza. Loro prigionieri, noi liberi.



Poi, ultimissime notizie: L'Italcoge, che era una delle due imprese che hanno alzato la recinzione e che doveva ancora operare in loco, è stata dichiarata fallita dal Tribunale di Torino. Pare abbia un'esposizione debitoria di oltre sei milioni di euro di debiti e che non pagasse da tempo i dipendenti. Viene da chiedersi: come ha fatto Ltf ad assegnare i lavori ad una ditta di tal fatta? Quanto è affidabile Ltf? Ricordiamo in proposito la sentenza penale che ha colpito quest'anno il suo direttore dei lavori.



Altra notizia: Paolo Buzzetti, presidente dell'Ance (Unione Nazionale Costruttori Edili, che fa capo a Confindustria) in un'intervista rilasciata al Corriere della Sera del 3 agosto 2011 ha salutato positivamente il fatto che siano stati svincolati dei fondi per piccole opere e si è detto contrario allo stato attuale a destinare enormi risorse per lo Stretto di Messina o la Torino - Lione.



Notizie invece di queste ultime ore: è cominciato lo sciopero della sete e/o della fame da parte di alcuni attivisti davanti al cancello lato Centrale elettrica. Turi Vaccaro - il pacifista già noto per essere sceso nudo sull'autostrada il giorno in cui vi fu l'occupazione militare della Maddalena - dal 4 agosto è salito sopra un cedro all'interno del recinto, attuando contemporaneamente lo sciopero della fame e della sete.



Intanto, il turismo in alta valle risente della situazione di ovvia tensione, ed ai danni economici privati si sommano quelli pubblici con migliaia di poliziotti ed alpini ospitati in alberghi a Sestriere, Avigliana, Torino.



Nessuno pensa che possa realizzarsi davvero un'opera militarizzando per decenni una valle.



Ultimissima notizia: non si ferma la campagna di stampa volta a screditare il movimento ed a farlo sembrare il lupo che mangia i bambini. Sarebbe stato il movimento a bruciare un mezzo dell'Italcoge, sarebbe responsabilità del movimento se la stessa impresa è ora fallita, il movimento avrebbe poi rapporti con frange estremiste, addirittura ex terroristi.



Qui in Val Susa il 24 luglio c'è stata una forte scossa di terremoto. Subito noi legali abbiamo diffuso la notizia che sicuramente era opera dei No Tav!



(di Fabio Balocco)



domenica 7 agosto 2011

Serge Latouche: decrescere nella crisi



LA DOPPIA IMPOSTURA DEL «RILANCE», RIGORE PIÙ RILANCIO



Serge Latouche


La ricetta europea prevede austerità e ripresa ma ci porterà alla bancarotta. Le teorie keynesiane non sono più sostenibili. Bisognerebbe uscire dall'euro per opporsi ai diktat dei mercati. E per far rinascere la speranza






Che cosa è il "rigore-rilancio"? Si tratta essenzialmente di ciò che è stato proposto al summit G20 di Toronto, un programma che, contemporaneamente programma rinascita e austerità. Il primo ministro tedesco Angela Merkel ha sostenuto una vigorosa politica di rigore e austerità. Il presidente americano, Barak Obama, temendo di rompere la debole ripresa dell'economia globale e statunitense attraverso una politica deflazionistica, ha sostenuto un rilancio ragionevole. L'accordo finale è stato raggiunto su una traballante sintesi: il recupero controllato nel rigore e austerità temperata dallo stimolo. Il ministro dell'Economia francese, che non era ancora Presidente del Fmi, Christine Lagarde, poi ha arrischiato il neologismo «rilance» (contrazione di rigore e di rilancio). Così facendo seguiva le orme del consigliere del presidente Sarkozy Alain Minc il quale, alla domanda su cosa si dovrebbe fare nella situazione critica causata dalla destabilizzazione degli Stati da parte dei mercati finanziari che questi stessi Stati avevano salvato dal collasso, ha prodotto questa formula ammirevole: si deve premere sia sul freno che sull'acceleratore.



Tuttavia, denunciare il doppio inganno di questo programma è una triplice sfida per me. Primo, parlare nella sede del Parlamento europeo a Bruxelles - il tempio della religione della crescita - da una posizione iconoclasta, la decrescita, e di un argomento del quale oltretutto, di nuovo, non sono un esperto: la Grecia e la crisi del debito sovrano. Poi da una posizione di "studioso", dunque per utilizzare la distinzione e l'analisi di Weber, secondo l'etica della convinzione e non quella della responsabilità. Infine, sostenere un punto di vista paradossale: né rigore né rilancio! Nel rifiuto del rigore o dell'austerità posso almeno trovare alleati (anche se un'esigua minoranza) sia tra gli economisti, come Frederic Lordon, che tra i politici, come Mélanchon con il suo programma attuale. Il rifiuto della ripresa della crescita produttivista e l'uscita dalla religione della crescita è una posizione accettata da alcuni ambientalisti nel lungo termine, ma completamente dimenticata per il breve termine. Ed è comunque a questa triplice sfida che tenterò di rispondere, considerando le due negazioni: quella della ripresa e quella del rigore.



Né rigore: negare l'austerità

La crisi greca si inserisce nel contesto più ampio di una crisi dell'euro e di una crisi dell'Europa. E naturalmente una crisi di civiltà della società dei consumi, vale a dire una crisi che mette in connessione una crisi finanziaria, una crisi economica, una crisi sociale, una crisi culturale e una crisi ecologica. La mia convinzione è che risolvendo la crisi dell'Europa e dell'euro, se non la crisi della civiltà consumistica, si risolverà la crisi della Grecia, ma che mantenendo la Grecia attaccata alla flebo, a colpi di prestiti condizionati attraverso cure sempre più severe di austerità, non si salverà né la Grecia né l'Europa e come risultato si saranno gettati i popoli nella disperazione.



Rigettare l'austerità presuppone l'eliminazione dei due tabù che sono alla base della costruzione europea: l'inflazione e il protezionismo. Il progetto della decrescita, vale a dire quello di costruire una società di abbondanza frugale e prosperità senza crescita, prevede la riabilitazione di due fenomeni che sono stati oggetto di politiche sistematiche nel passato: protezionismo e inflazione. Politiche tariffarie sistematiche di costruzione e ricostruzione del sistema produttivo, di difesa delle attività nazionali e di protezione sociale, e quella del finanziamento del deficit di bilancio da un ricorso motivato alla emissione di moneta che produce quel «lieve innalzamento del livello dei prezzi» (bassa inflazione) sostenuto da Keynes, ha accompagnato la crescita eccezionale delle economie occidentali dopo la guerra, il periodo che viene indicato in Francia con l'epiteto de «i trent'anni gloriosi» - a ben vedere l'unico periodo della storia moderna in cui le classi lavoratrici hanno goduto di un relativo benessere. Entrambi gli strumenti sono stati vietati dalla controrivoluzione neoliberale e le politiche che le raccomandano sono oggi anatemizzate, anche se tutti i governi che possono vi fanno ricorso in modo più o meno occulto e insidioso.



Come tutti gli strumenti, il protezionismo e l'inflazione possono avere effetti negativi e perversi - e sono soprattutto questi effetti che vediamo oggi del loro uso vergognoso- ma è essenziale servirsene in maniera intelligente per risolvere in modo socialmente soddisfacente l'attuale crisi. Evitare il disastro di una austerità deflazionista, ma anche il disastro di una ripresa produttivista.



Per realizzare ciò è probabilmente necessario uscire dall'euro, se non è possibile correggerne le storture. Dobbiamo riappriopriarci della moneta che dovrebbe ritrovare il suo posto: per servire e non asservire. La moneta può essere un buon servitore, ma è sempre un cattivo padrone. Notiamo per prima cosa che la ripresa della signora Lagarde non è la ripresa produttivista di Joseph Stiglitz, è il rilancio dell'economia del casinò, essenzialmente quella della speculazione borsistica e immobiliare.



Infatti, per i governi in carica, lo slogan «e la ripresa, e l'austerità» significa il rilancio del capitale e l'austerità per le popolazioni. In nome del rilancio, d'altronde in gran parte illusorio, degli investimenti e quello totalmente falso dell'occupazione, si riducono o si sopprimono le imposte sociali, le tasse professionali e le imposte sugli utili d'impresa. Si rinuncia a tutte le tassazioni dei superprofitti bancari e finanziari, nel momento in cui l'austerità colpisce i salariati e le classi medie e basse, con la riduzione delle remunerazioni, delle prestazioni sociali e l'aumento dell'età legale di pensionamento. Per completare il tutto e preparare la mitica ripresa, si smantellano sempre di più i servizi pubblici, si privatizza a tutto spiano ciò che non lo è ancora stato, con una cancellazione massiccia di posti di lavoro (nell'istruzione, nella sanità, ecc) . Si assiste ad una strana competizione masochista all'austerità. Il paese A annuncia salari più bassi del 20% subito, il paese B annuncia che farà meglio con il 30%, mentre C per non essere da meno si affretta ad aggiungere ulteriori misure più severe. Il tutto sommato alla onnipresente pubblicità che spinge a continuare a consumare sempre di più senza avere i mezzi e a indebitarsi senza avere prospettive di rimborso del debito, si dovrebb in qualche modo espiare la pseudo-festa consumista continuando a nutrirla nella morosità.



Questa stupida politica di austerità non può che portare ad un ciclo deflazionistico che farà precipitare la crisi che lo stimolo puramente speculativo non impedirà; e gli Stati ormai esangui non potranno più questa volta salvare le banche a colpi di migliaia di miliardi di dollari.



Questa politica non è solo immorale, è anche assurda. Avremo la bancarotta dell'euro se non dell'Europa e la catastrofe sociale. Aspettando questa eventualità, se gli oppositori della crescita fossero stati chiamati a gestire gli affari della Grecia, per esempio, quale sarebbe la loro politica? Il ripudio puro e semplice del debito, cioè la bancarotta dello Stato, sarebbe la cura da cavallo che risolverebbe il problema eliminandolo. Tuttavia, questa soluzione radicale, che non è da escludere e troverebbe il favore dei "decrescenti", rischierebbe di precipitare il paese nel caos.



Il problema, infatti, è che in pratica la crisi del debito degli Stati non è che un pezzetto del problema. La risposta teorica al solo problema del debito degli Stati che, anche per i più indebitati, è circa l'ammontare del Pil, è molto più facile che quella riguardante la soluzione del problema dell'inflazione globale dei crediti derivanti dalla speculazione finanziaria. La minaccia del rischio sistemico è tutt'altro che scartata. Per quanto riguarda il debito pubblico, la sua cancellazione rischierebbe di colpire le banche e gli speculatori, ma anche direttamente o indirettamente i piccoli investitori che hanno dato fiducia al loro stato o che a loro insaputa si sono visti rifilare dalla propria banca e involontariamente investimenti complessi che includono titoli sospetti. Una riconversione negoziata (che equivale a un fallimento parziale), come è stato fatto in Argentina dopo il crollo del peso, o dopo una verifica, come proposto da Eric Toussaint e da una coalizione di Ong per determinare la quantità abusiva del debito, è probabilmente preferibile. Si potrebbe anche provvedere al mantenimento delle garanzie per i piccoli azionisti e a un deprezzamento dal 40 al 60% per gli altri o di ricorrere a un taglio fiscale. Per cancellare il debito residuo, si potrebbe proporre un aumento delle entrate fiscali con un prelievo eccezionale sui profitti finanziari, così come si è fatto in Ungheria, e non sarebbe mal vista l'introduzione della tassazione progressiva con l'abbandono reale dello scudo fiscale e delle scandalose nicchie di rendita.



In una società della crescita senza crescita, che corrisponde grosso modo alla situazione attuale, lo Stato è condannato ad imporre ai cittadini l'inferno dell'austerità, prima di tutto con la distruzione dei servizi pubblici e la privatizzazione di ciò che è ancora possibile vendere dei gioielli di famiglia. In tal modo si corre il rischio di creare una deflazione e di entrare nel ciclo infernale di una spirale depressiva. È proprio per evitare questo che si dovrebbe intraprendere l'uscita dalla società della crescita e costruire una società in descrescita.



Né rilancio: decrescere

Di fronte a questa minaccia, alcune anime belle, come Joseph Stiglitz, raccomandano le vecchie ricette keynesiane di rilancio dei consumi e degli investimenti per far ripartire la crescita. Questa terapia non è auspicabile. Non è auspicabile perché il pianeta non la può più sopportare, forse non è possibile perché, a causa del depauperamento delle risorse naturali, già in atto dagli anni 70, i costi della crescita (quando si è verificata) sono superiori ai suoi benefici. I guadagni di produttività attesi sono pari a zero o quasi zero. Dovrebbero essere ulteriormente privatizzate e mercificate le ultime riserve di vita sociale e fatto crescere il valore di una massa invariata o in diminuzione di valori d'uso, per estendere di pochi anni l'illusione della crescita. Tuttavia il programma socialdemocratico, che è la ragione sociale dei partiti di opposizione, non è credibile, anche perché questi partiti non sono in grado di rimettere in discussione la catena di ferro del quadro neoliberale che essi stessi hanno contribuito a costruire negli ultimi 30 anni, e che implica una sottomissione senza eccezioni al dogma monetarista. L'esempio della Grecia è da questo punto di vista sufficientemente eloquente. Si tratta di uscire dall'imperativo della crescita, cioè di rifiutare la ricerca ossessiva della crescita.

Quest'ultima non è ovviamente (e non dovrebbe essere) un fine in sé; essa non è più un modo per eliminare la disoccupazione. Si deve tentare di costruire una società dell'abbondanza frugale, o per dirla con Tim Jackson, di prosperità senza crescita.

In effetti, l'obiettivo primario della transizione dovrebbe essere la ricerca della piena occupazione per porre rimedio alla miseria di una parte della popolazione. Questo potrebbe essere fatto attraverso una rilocalizzazione sistematica delle attività utili, una riconversione graduale delle attività parassitarie come la pubblicità o nocive come il nucleare e la produzione di armi, e una riduzione programmata e significativa del tempo di lavoro. Per il resto, è il ricorso alla stampa di carta moneta, e quindi ad una inflazione controllata (diciamo più o meno del 5% l'anno) che noi raccomandiamo. La soluzione keynesiana equivale alla scelta di una moneta fondente che stimola l'attività economica, senza tornare alla logica della crescita illimitata, favorendo la soluzione dei problemi causati dall'abbandono della religione della crescita.



Naturalmente, questo bel programma è più facile a dirsi che a farsi. Nel caso della Grecia richiede come minimo di uscire dell'euro e ripristinare la dracma, probabilmente non convertibile, con tutto ciò che questo comporta: controllo dei cambi e ricostituzione delle dogane. Il necessario protezionismo selettivo richiesto da questa strategia farebbe inorridire gli esperti di Bruxelles e del Wto. Ci si dovrebbe dunque attendere misure di ritorsione e tentativi esterni di destabilizzare coordinati con gli atti di sabotaggio da parte degli interessi lesi all'interno. Questo programma sembra molto utopico oggi, ma quando si arriverà al fondo del marasma e della crisi reale che abbiamo di fronte, sembrerà auspicabile e realistico.



Conclusione

Nell'antica tragedia greca, la catastrofe è l'argomento della strofa finale. E noi siamo a questo punto. Un popolo vota in massa per il Partito Socialista il cui programma è stato classicamente socialdemocratico e, sotto la pressione dei mercati finanziari, si vede imposta una politica di austerità neo-liberale da quello stesso partito, in obbedienza agli ordini congiunti di Bruxelles e del Fondo monetario internazionale. L'euro impedisce alla Grecia di fare ciò che l'Islanda ha potuto fare: rifiutare democraticamente il diktat. È chiaro che probabilmente la maggioranza del popolo greco non accetterebbe, e in ogni caso non facilmente, le conseguenze delle cesure necessarie per una diversa politica (uscita dall'euro, ripudio almeno parziale del debito pubblico, probabile messa al bando da parte dell'Europa ed embargo dei paesi danneggiati, fughe di capitali, ecc). Ma le «lacrime e sangue», prendendo le famose parole di Churchill, ci sono già, senza però speranza di vittoria. Il progetto della decrescita non promette di evitare il sangue e le lacrime nell'economia, ma almeno apre la porta della speranza. L'unico modo per sfuggire a questo stato di cose, ce lo auguriamo vivamente, sarebbe quello di riuscire a far uscire l'Europa dalla dittatura dei mercati e costruire l'Europa della solidarietà e della convivialità, questo cemento del legame sociale che Aristotele chiamava filia.



*************

Il filosofo della decrescita

Economista e filosofo, Serge Latouche è uno degli animatori de La Revue du Mauss, presidente dell'associazione «La ligne d'horizon», è professore emerito di Scienze economiche all'Università di Parigi XI e all'Institut d'études du developpement économique et social (Iedes) di Parigi. È noto per le sue teorie sulla decrescita, molto seguite da una fetta dei movimenti altermondialisti. I suoi ultimi libri sono «Come si esce dalla società dei consumi. Corsi e percorsi della decrescita» (Bollati Boringhieri, 2011) e «L'invenzione dell'economia» (Arianna 2011). Ha scritto diverse altre opere, tra cui «La scommessa della decrescita» (Feltrinelli, 2007).