martedì 29 novembre 2011

Un Audit sul debito


Ospitiamo un contributo dell'economista Guido Viale pubblicato oggi su " Il Manifesto", come sempre interessante. Una lucida analisi sulla crisi del liberismo finanziario e sulla ferocia e l'inutilità, per uscirne, dei provvedimenti che il governo sta per varare 
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 Agli storici del futuro (se il genere umano sopravviverà alla crisi climatica e la civiltà al disastro economico) il trentennio appena trascorso apparirà finalmente per quello che è stato: un periodo di obnubilamento, di dittatura dell'ignoranza, di egemonia di un pensiero unico liberista sintetizzato dai detti dei due suoi principali esponenti: «La società non esiste. Esistono solo gli individui», cioè i soggetti dello scambio, cioè il mercato (Margaret Thatcher); e «Il governo non è la soluzione ma il problema», cioè, comandi il mercato! (Ronald Reagan). Il liberismo ha di fatto esonerato dall'onere del pensiero e dell'azione la generalità dei suoi adepti, consapevoli o inconsapevoli che siano; perché a governare economia e convivenza, al più con qualche correzione, provvede già il mercato. Anzi, "i mercati"; questo recente slittamento semantico dal singolare al plurale non rispecchia certo un'attenzione per le distinzioni settoriali o geografiche (metti, tra il mercato dell'auto e quello dei cereali; o tra il mercato mondiale del petrolio e quello di frutta e verdura della strada accanto); bensì un'inconscia percezione del fatto che a regolare o sregolare le nostra vite ci sono diversi (pochi) soggetti molto concreti, alcuni con nome e cognome, altri con marchi di banche, fondi e assicurazioni, ma tutti inarrivabili e capricciosi come dèi dell'Olimpo (Marco Bersani); ai quali sono state consegnate le chiavi della vita economica, e non solo economica, del pianeta Terra. Questa delega ai "mercati" ha significato la rinuncia a un'idea, a qualsiasi idea, di governo e, a maggior ragione, di autogoverno: la morte della politica. La crisi della sinistra novecentesca, europea e mondiale, ma anche della destra - quella "vera", come la vorrebbero quelli di sinistra - è tutta qui.

Ma, dopo la lunga notte seguita al tramonto dei movimenti degli anni sessanta e settanta, il caos in cui ci ha gettato quella delega sta aprendo gli occhi a molti: indignados, gioventù araba in rivolta, e i tanti Occupy. Poco importa che non abbiano ancora "un vero programma" (come gli rinfacciano tanti politici spocchiosi): sanno che cosa vogliono.

Mentre i politici spocchiosi non lo sanno: vogliono solo quello che "i mercati" gli ingiungono di volere. È il mondo, e sono le nostre vite, a dover essere ripensati dalle fondamenta. Negli anni il liberismo - risposta vincente alle lotte, ai movimenti e alle conquiste di quattro decenni fa - ha prodotto un immane trasferimento di ricchezza dal lavoro al capitale: mediamente, si calcola, del 10 per cento dei Pil (il che, per un salario al fondo alla scala dei redditi può voler dire un dimezzamento; come negli Usa, dove il potere di acquisto di una famiglia con due stipendi di oggi equivale a quello di una famiglia monoreddito degli anni sessanta). Questo trasferimento è stato favorito dalle tecnologie informatiche, dalla precarizzazione e dalle delocalizzazioni che quelle tecnologie hanno reso possibili; ma è stato soprattutto il frutto della deregolamentazione della finanza e della libera circolazione dei capitali. Tutto quel denaro passato dal lavoro al capitale non è stato infatti investito, se non in minima parte, in attività produttive; è andato ad alimentare i mercati finanziari, dove si è moltiplicato e ha trovato, grazie alla soppressione di ogni regola, il modo per riprodursi per partenogenesi. Si calcola che i valori finanziari in circolazione siano da dieci a venti volte maggiori del Pil mondiale (cioè di tutte le merci prodotte nel mondo in un anno, che si stima valgano circa 75 mila miliardi di dollari). Ma non sono state certo le banche centrali a creare e mettere in circolazione quella montagna di denaro; e meno che mai è stata la Banca centrale europea (Bce), che per statuto non può farlo (anche se in effetti un po' lo ha fatto e continua a farlo, per così dire, "di nascosto"). Se la Bce è oggi impotente di fronte alla speculazione sui titoli di stato (i cosiddetti debiti sovrani) è perché lo statuto che le vieta di "creare moneta" è stato adottato per fare da argine in tutto il continente alle rivendicazioni salariali e alle spese per il welfare. Una scelta consapevole quanto miope, che forse oggi, di fronte al disastro imminente, sono in molti a rimpiangere di aver fatto. A creare quella montagna di denaro è stato invece il capitale finanziario che si è autoriprodotto; i "mercati". E lo hanno fatto perché tutti i governi glielo hanno permesso. Certo, in gran parte si tratta di "denaro virtuale": se tutto insieme precipitasse dal cielo sulla terra, non troverebbe di fronte a sé una quantità altrettanto grande di merci da comprare. Ciò non toglie che ogni tanto - anzi molto spesso - una parte di quel denaro virtuale abbandoni la sfera celeste e si materializzi nell'acquisto di un'azienda, una banca, un albergo, un'isola; o di ville, tenute, gioielli, auto e vacanze di lusso. A quel punto non è più denaro virtuale, bensì potere reale sulla vita, sul lavoro e sulla sicurezza di migliaia e migliaia di esseri umani: un crimine contro l'umanità.

È un meccanismo complicato, ma facile da capire: in ultima analisi, quel denaro "fittizio" - che fittizio non è - si crea con il debito e si moltiplica pagando il debito con altro debito: in questa spirale sono stati coinvolti famiglie (con i famigerati mutui subprime; ma anche con carte di credito, vendite a rate e "prestiti d'onore"), imprese, banche, assicurazioni, Stati; e, una volta messi in moto, quei debiti rimbalzano dagli uni agli altri: dai mutui alle banche, da queste ai circuiti finanziari, e poi di nuovo alle banche, e poi ai governi accorsi in aiuto delle banche, e dalle banche di nuovo agli Stati. E non se ne esce, se non - probabilmente - con una generale bancarotta.

In termini tecnici, l'idea di pagare il debito con altro debito si chiama "schema Ponzi", dal nome di un finanziere che l'aveva messa in pratica negli anni '30 del secolo scorso (al giorno d'oggi quell'idea l'hanno riportata in vita il finanziere newyorchese Bernard Madoff e, probabilmente, molti altri); ma è una pratica vecchia come il mondo, tanto che in Italia ha anche un santo protettore: si chiama "catena di Sant'Antonio". In realtà, tutta la bolla finanziaria che ci sovrasta non è che un immane schema Ponzi. E anche i debiti degli Stati lo sono. Il vero problema è sgonfiare quella bolla in modo drastico, prima che esploda tra le mani degli apprendisti stregoni dei governi che ne hanno permesso la creazione. Nell'immediato, un maggiore impegno del fondo salvastati, o del Fmi, o gli eurobond, o il coinvolgimento della Bce nell'acquisto di una parte dei debiti pubblici europei potrebbero allentare le tensioni. Ma sul lungo periodo è l'intera bolla che va in qualche modo sgonfiata.

Prendiamo l'Italia: paghiamo quest'anno 70 miliardi di interessi sul debito pubblico (che è di circa 1900 miliardi). L'anno prossimo saranno di più, perché gli interessi da pagare aumentano con lo spread. Negli anni passati a volte erano meno, ma a volte, in proporzione, anche di più. Quasi mai sono stati pagati con le entrate fiscali dell'anno (il cosiddetto avanzo primario); quasi sempre con un aumento del debito. Basta mettere in fila questi interessi per una trentina di anni - da quando hanno cominciato a correre - e abbiamo una buona metà, e anche più, di quel debito che mette alle corde l'economia del paese e impedisce a tutti noi di decidere come e da chi essere governati. Perché a deciderlo è ormai la Bce. Ma la vera origine del debito italiano è ancora più semplice: l'evasione fiscale. Ogni anno è di 120 miliardi o cifre equivalenti: così, senza neanche scomodare i costi di "politica", della corruzione o della malavita organizzata, bastano quindici anni di evasione fiscale - e ci stanno - per spiegare i 1900 miliardi del debito italiano. Aggiungi che coloro che hanno evaso le tasse sono in buona parte - non tutti - gli stessi che hanno incassato gli interessi sul debito e il cerchio si chiude. La spesa pubblica in deficit ha la sua utilità se rimette in moto "risorse inutilizzate": lavoratori disoccupati e impianti fermi. Ma se alimenta evasione fiscale e "risparmi" che vanno solo ad accrescere la bolla finanziaria, è una sciagura.

Altro che pensioni da tagliare (anche se le ingiustizie da correggere in questo campo sono molte)! E altro che scuola, e università, e sanità, e assistenza troppo "generose"! Siamo di fronte a cifre incomparabili: per distruggere scuola e Università è bastato tagliare pochi miliardi di euro all'anno. E da una "riforma" anche molto severa delle pensioni si può ricavare solo qualche miliardo di euro all'anno. Dalla svendita degli immobili dello Stato e dei servizi pubblici locali non si ricava molto di più. Dalla liquidazione di Eni, Enel, Ferrovie, Finmeccanica, Fincantieri e quant'altro, come improvvidamente suggerito nel luglio scorso dai bocconiani Perotti e Zingales (l'economista di riferimento, quest'ultimo, di Matteo Renzi; ma anche di Sarah Palin!), si ricaverebbe non più di qualche decina di miliardi una volta per sempre, trasferendo in mani ignote (ma potrebbero benissimo essere quelle della mafia) le leve dell'economia di un intero paese. Mentre interessi ed evasione fiscale ammontano a decine di miliardi ogni anno e il debito da "saldare" si conta in migliaia di miliardi. Per questo il rigore promesso dal governo potrà fare male ai molti che non se lo meritano, ma non ha grandi prospettive di successo: affrontare con queste armi il deficit pubblico, o addirittura il debito, è un'impresa votata al fallimento. O una truffa. Per questo è urgente effettuare un audit (un inventario) del debito italiano, perché tutti possano capire come si è formato, chi ne ha beneficiato e chi lo detiene (anche per poter prospettare trattamenti diversi alle diverse categorie di prestatori).

L'altro inganno che domina il delirio pubblico promosso dagli economisti mainstream - e in primis dai bocconiani - è la "crescita". A consentire il pareggio del bilancio imposto dalla Bce e tra breve "costituzionalizzato", cioè il pagamento degli interessi sul debito con il solo prelievo fiscale, e addirittura una graduale riduzione, cioè restituzione, del debito dovrebbe essere la "crescita" del Pil messa in moto dalle misure liberiste che i precedenti governi non avrebbero saputo o voluto adottare: liberalizzazioni, privatizzazioni, riforma del mercato del lavoro (alla Marchionne), eliminazioni delle pratiche amministrative inutili (ben vengano, ma bisognerà riparlarne) e le "grandi opere" (in primis il Tav). Ma per raggiungere con l'aumento del Pil obiettivi del genere ci vorrebbero tassi di crescita "cinesi"; in un periodo in cui l'Italia viene ufficialmente dichiarata in recessione, tutta l'Europa sta per entrarci, l'euro traballa, gli Stati Uniti sono fermi e l'economia dei paesi emergenti sta ripiegando. È il mondo intero a essere in balia di una crisi finanziaria che va ad aggiungersi a quella ambientale - di cui nessuno vuole più parlare - e allo sconvolgimento dei mercati delle materie prime (risorse alimentari in primo luogo) su cui si riversano i capitali speculativi che stanno ritirandosi dai titoli di stato (e non solo da quelli italiani). Interrogati in separata sede, sono pochi gli economisti che credono che nei prossimi anni possa esserci una qualche crescita. Molti prevedono esattamente il contrario; ma nessuno osa dirlo. Questa farsa deve finire. È ora di pensare - e progettare seriamente - un mondo capace di soddisfare i bisogni di tutti e di consentire a ciascuno una vita dignitosa anche senza "crescita". Semplicemente valorizzando le risorse umane, il patrimonio dei saperi, le fonti energetiche e le risorse materiali rinnovabili, gli impianti e le attrezzature che già ci sono; e rinnovandoli e modificandoli solo per fare meglio con meno. Non c'è niente di utopistico in tutto questo; basta - ma non è poco - l'impegno di tutti gli uomini e le donne di buon senso e di buona volontà.

lunedì 28 novembre 2011

Referendum acqua: lunedi 5 dicembre assemblea ad Este




 Il Comitato Provinciale Due Sì per l'acqua bene comune di Padova, aderente al Forum Italiano dei Movimenti per l'acqua , incontra lunedi alle 21, nella sala civica di vicolo Mezzaluna, amministratori, associazioni e Comitati della Bassa Padovana sul tema

“APPLICAZIONE DELL'ESITO REFERENDARIO NELL'A.A.T.O. BACCHIGLIONE”



Saranno presenti






                                                Giuliana Beltrame e Sandro Punzo


L'INCONTRO E' APERTO AI CITTADINI INTERESSATI




Comitato Provinciale Due Sì per l'acqua bene comune di Padova - UN GRUPPO DI AMMINISTRATORI DI ESTE - MONSELICE - BAONE




Pubblichiamo inoltre  la lettera che il Comitato Provinciale Due Sì per l'acqua bene ha inviato nei giorni scorsi ai sindaci dei comuni appartenenti all'A.A.T.O. Bacchiglione


Padova lì 14/11/2011


Egregi Sigg. Sindaci dei Comuni appartenenti all’A.A.T.O. Bacchiglione


Oggetto: Applicazione esito referendario


Cari Sindaci


a seguito della pubblicazione in G.U. del DPR n.116 del 18 luglio 2011 con il quale il Presidente della Repubblica dichiara abrogato il comma 1 dell’art.154 del D.lgs. 152/2006 (testo unico ambientale) il Comitato Provinciale Due Sì per l'acqua bene comune di Padova ritiene importante sollecitare un Vostro intervento in sede Aato Bacchiglione per dare seguito a quanto i Vostri concittadini, insieme ad altri milioni di cittadine e cittadini italiani hanno deciso e cioè che per quanto riguarda il secondo quesito, vanno cancellate le norme che garantiscono “l’adeguata remunerazione del capitale investito”nella determinazione della tariffa del servizio idrico integrato.
A supporto del presente sollecito, il Comitato rende noto quanto segue:
- come premesso, il secondo quesito referendario era volto ad eliminare, dal predetto art.154, comma1, il riferimento normativo al criterio“dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito”, riferimento che, ai fini della determinazione della tariffa del servizio idrico integrato (s.i.i.), imponeva di tener conto di parametri idonei ad assicurare “la remunerazione” del capitale investito, consentendo al gestore di recuperare in tariffa un adeguato profitto;
- più in particolare, la definizione delle componenti di costo e la determinazione della tariffa di riferimento del s.i.i. (c.d. “ Metodo normalizzato”) sono attualmente contenuti nel D.M. 1 agosto 1996. Emanato in attuazione dell’art.13 della L.36/1994 (c.d. legge Galli) -oggi quasi per intero abrogata- la vigenza del cit. D.M. è stata fino ad oggi assicurata dalla disposizione transitoria contenuta nel comma 3, lettera l, dell’art.170 del D.lgs. 152/2006. Come noto, tale metodo, ai fini della determinazione della tariffa, garantisce la remunerazione del capitale investito dal gestore in una percentuale fissa del 7%;
- con l’abrogazione referendaria, lo scenario risulta mutato: pur rimanendo formalmente in vigore il cit. D.M. 1 agosto 1996 (per tutte le restanti parti), ha perso legittimazione la parte che determina la voce della tariffa concernente “l’adeguata remunerazione del capitale investito”, per cui spetta alle autorità competenti (ad oggi, gli AATO) ricalcolare la tariffa espungendo la voce ormai illegittima, senza attendere futuri provvedimenti normativi del Governo.
Quindi il decreto del 1996, al pari di ogni altra disposizione normativa contenuta in una fonte diversa da quella sottoposta a referendum, deve considerarsi implicitamente abrogato nella parte in cui contrasta con la finalità referendaria, intesa a rendere il governo e la gestione dell’acqua estranee “alle logiche del profitto” (così sentenza della Corte Costituzionale n. 26/2011).
Infine, ricorda che il protrarsi di comportamenti autoritativi (illegittimi) da parte della stessa Autorità d’Ambito, consentirà agli utenti di richiedere la restituzione in bolletta delle quote illegittimamente pagate fin dalla data di entrata in vigore dell’abrogazione referendaria.


http://acquabenecomunepadova.org/


http://www.acquabenecomune.org/raccoltafirme/
                                                                                 

































venerdì 25 novembre 2011

Colli Euganei: 40 anni fa la svolta. E oggi?





Sabato 26 novembre, presso l’azienda agricola biologica La Costigliola di Banca Etica a Rovolon, si svolgerà il convegno regionale “Storia e attualità della Legge 1097 – Norme per la tutela delle bellezze naturali ed ambientali e per le attività estrattive dei Colli Euganei”.
Un appuntamento organizzato dal coordinamento Associazioni Ambientaliste per il Parco Colli Euganei per rileggere una pagina vincente nella salvaguardia dei Colli e per rilanciare il Parco e la decementificazione del nostro territorio.
Una ottantina di cave voracemente all'opera sulle pendici collinari, oltre 6 milioni di tonnellate estratte ogni anno: bastano questi dati a delineare la infernale situazione dei Colli Euganei negli anni 60. I tentativi di arginare questa aggressione, ad opera inizialmente soprattutto del Consorzio Valorizzazione Colli Euganei, si rivelano inefficaci: l'assalto sembra inarrestabile.

Finché sulla scena appare un protagonista nuovo per quei tempi: un movimento “ambientalista” di base, formato soprattutto di giovani, che nasce nel dicembre 1968 a Battaglia T. e che si espande poi rapidamente a tutta l'area euganea.
La strategia vincente si rivela quella di puntare a una legge speciale da far approvare dal Parlamento nazionale. Attorno a questo obiettivo viene creata una mobilitazione che oltre ai vari protagonisti a livello locale coinvolge l'opinione pubblica nazionale.
Il 24 Novembre 1971 il risultato viene raggiunto, a conclusione di una battaglia frontale tesa e serrata. La nuova legge (la 1097, firmata nell'ordine dall'on. Giuseppe Romanato, dall'on. Carlo Fracanzani e da altri 26 parlamentari di tutti i gruppi politici, tra i quali tutti i parlamentari padovani dell'epoca) si rivela, possiamo dire, come una boa attorno alla quale la politica ambientale sui Colli registra in effetti una inversione radicale.
Non solo vengono chiuse pressoché tutte le cave (subito quelle più impattanti, negli anni successivi le altre), ma subisce un drastico ridimensionamento anche l'assalto edilizio anch'esso particolarmente aggressivo in quegli anni e viene avviata, con alcune importanti acquisizioni pubbliche, una concreta politica di valorizzazione dei beni culturali e ambientali. E' l'idea di “Parco” che comincia a mettere radici: un'idea che superando polemiche e contrapposizioni esasperanti trova riscontro con la Legge Regionale n. 38 del 10.10.89.
Ed è al Parco, attraverso il Piano Ambientale, che passa l'onere di completare l'applicazione della 1097 e di consolidare le linee portanti di un'economia più attenta ai valori ambientali e culturali.
Ma questi obiettivi comportano la soluzione di un problema che la 1097 ha lasciato aperto: la presenza di ben 3 cementerie che, pur rimaste senza cave, continuano ad operare nel delicato comprensorio euganeo. In realtà un segnale, questa abnorme concentrazione, del predominio, in questi 40 anni, in particolare nella nostra Regione, della politica del cemento.
Un ridimensionamento di questa presenza dovrebbe essere la naturale conseguenza di un ormai inderogabile processo di “decementizzazione” del territorio.
Ed è proprio su questo fronte che sarebbe necessario prevedere un altro storico giro di boa nella gestione del nostro territorio: un obiettivo per il futuro che potrebbe trovare spinte e motivazioni nel rivisitare le vicende che hanno portato alla approvazione e alla applicazione della 1097.

Coordinamento delle Associazioni ambientaliste dei Colli Euganei

  Il convegno inizia alle 9,30 e si concluderà alle 17 con un brindisi e la musica dei Calicanto









mercoledì 23 novembre 2011

Fra...mmenti d'Italia: ultimo appuntamento

Si conclude stasera 23 novembre il ciclo di proiezioni fra...mmenti d'Italia con il film, alle 21, di Daniele Lucchetti.
Ci si trova in compagnia nella sede del Centro di Cultura
 " La Medusa". Alla fine biscottini e tisane offerte dal negozio equo solidale " La Bilancia". Vi aspettiamo...

martedì 22 novembre 2011

Tre milioni all’ora: l’Italia in crisi li spende per la difesa. Firmate l’appello di Zanotelli


Tagliamo le spese militari italiane e non i servizi sociali.



Di seguito il testo dell’appello.

In tutta la discussione nazionale in atto sulla manovra finanziaria, che ci costerà 20 miliardi di euro nel 2012 e 25 miliardi nel 2013, quello che più mi lascia esterrefatto è il totale silenzio di destra e sinistra, dei media e dei vescovi italiani sul nostro bilancio della Difesa. È mai possibile che in questo paese nel 2010 abbiamo speso per la difesa ben 27 miliardi di euro? Sono dati ufficiali questi, rilasciati lo scorso maggio dall’autorevole Istituto Internazionale con sede a Stoccolma (SIPRI). Se avessimo un orologio tarato su questi dati, vedremmo che in Italia spendiamo oltre 50.000 euro al minuto, 3 milioni all’ora e 76 milioni al giorno. Ma neanche se fossimo invasi dagli UFO, spenderemmo tanti soldi a difenderci!!
È mai possibile che a nessun politico sia venuto in mente di tagliare queste assurde spese militari per ottenere i fondi necessari per la manovra invece di farli pagare ai cittadini? Ma ai 27 miliardi del Bilancio Difesa 2010, dobbiamo aggiungere la decisione del governo, approvata dal Parlamento, di spendere nei prossimi anni, altri 17 miliardi di euro per acquistare i 131 cacciabombardieri F35. Se sommiamo questi soldi, vediamo che corrispondono alla manovra del 2012 e 2013. Potremmo recuperare buona parte dei soldi per la manovra, semplicemente tagliando le spese militari. A questo dovrebbe spingerci la nostra Costituzione che afferma :”L’Italia ripudia la guerra come strumento per risolvere le controversie internazionali…” (art.11) Ed invece siamo coinvolti in ben due guerre di aggressione, in Afghanistan e in Libia. La guerra in Iraq (con la partecipazione anche dell’Italia), le guerre in Afghanistan e in Libia fanno parte delle cosiddette “guerre al terrorismo”, costate solo agli USA oltre 4.000 miliardi di dollari (dati dell’Istituto di Studi Internazionali della Brown University di New York). Questi soldi sono stati presi in buona parte in prestito da banche o da organismi internazionali. Il governo USA ha dovuto sborsare 200 miliardi di dollari in dieci anni per pagare gli interessi di quel prestito. Non potrebbe essere, forse, anche questo alla base del crollo delle borse? La corsa alle armi è insostenibile, oltre che essere un investimento in morte: le armi uccidono soprattutto civili.
Per questo mi meraviglia molto il silenzio dei nostri vescovi, delle nostre comunità cristiane, dei nostri cristiani impegnati in politica. Il Vangelo di Gesù è la buona novella della pace: è Gesù che ha inventato la via della nonviolenza attiva. Oggi nessuna guerra è giusta, né in Iraq, né in Afghanistan, né in Libia. E le folle somme spese in armi sono pane tolto ai poveri, amava dire Paolo VI. E da cristiani come possiamo accettare che il governo italiano spenda 27 miliardi di euro in armi, mentre taglia 8 miliardi alla scuola e ai servizi sociali?
Ma perché i nostri pastori non alzano la voce e non gridano che questa è la strada verso la morte?
E come cittadini in questo momento di crisi, perché non gridiamo che non possiamo accettare una guerra in Afghanistan che ci costa 2 milioni di euro al giorno? Perché non ci facciamo vivi con i nostri parlamentari perché votino contro queste missioni? La guerra in Libia ci è costata 700 milioni di euro!
Come cittadini vogliamo sapere che tipo di pressione fanno le industrie militari sul Parlamento per ottenere commesse di armi e di sistemi d’armi. Noi vogliamo sapere quanto lucrano su queste guerre aziende come la Fin-Meccanica, l’Iveco-Fiat, la Oto-Melara, l’Alenia Aeronautica. Ma anche quanto lucrano la banche in tutto questo.
E come cittadini chiediamo di sapere quanto va in tangenti ai partiti, al governo sulla vendita di armi all’estero (Ricordiamo che nel 2009 abbiamo esportato armi per un valore di quasi 5 miliardi di euro).
È un autunno drammatico questo, carico di gravi domande. Il 25 settembre abbiamo la 50° Marcia Perugia-Assisi iniziata da Aldo Capitini per promuovere la nonviolenza attiva. Come la celebreremo? Deve essere una marcia che contesta un’Italia che spende 27 miliardi di euro per la Difesa.
E il 27 ottobre sempre ad Assisi, la città di S. Francesco, uomo di pace, si ritroveranno insieme al Papa, i leader delle grandi religioni del mondo. Ci aspettiamo un grido forte di condanna di tutte le guerre e un invito al disarmo.
Mettiamo da parte le nostre divisioni, ricompattiamoci, scendiamo per strada per urlare il nostro no alle spese militari, agli enormi investimenti in armi, in morte.

Che vinca la Vita!

Alex Zanotelli

per firmare http://www.ildialogo.org/appelli/indice_1314206334.htm



Luoghi Comuni



Pubblichiamo questa interessante analisi che contribuisce alla lettura di quanto successo in questi ultimi anni sul terreno delle lotte

Luigi Sturniolo
 martedì 22 novembre 2011
Luigi Sturniolo
Il luogo comune non è uno spazio vuoto, non è un’oasi, non è una riserva. Esso prende i connotati di chi lo vive, non conosce la separatezza del bene protetto. E’ a disposizione. Il luogo comune non si costituisce a partire dalla negazione dell’attività umana. Al contrario, in esso si addensano esperienze umane che stabiliscono rapporti di convivenza con le altre espressioni del vivente. Ma, appunto, non vive per sottrazione, vive per accumulo. E’ luogo di produzione, di attraversamento. Non si specchia in sé stesso e non ama il silenzio. Il luogo comune si dà in seguito a una conquista, è il frutto di una lotta. Viene dopo, non prima della disputa. In esso ha già avuto luogo una sperimentazione. Se è uno spazio sottratto alla mercificazione lo è non perché avrebbe potuto essere venduto in quanto tale, ma in quanto già usato come territorio della spoliazione e dell’appropriazione.
I dieci anni che abbiamo alle spalle hanno visto il territorio aggredito dalle politiche delle grandi opere, dei grandi eventi, delle emergenze. Ad esso ha fatto ricorso un sistema d’impresa in crisi che si è nutrito di risorse pubbliche. Perché questo potesse aver luogo è stato costruito un apparato normativo adeguato e organico centrato sulla verticalizzazione delle scelte e sulla cancellazione sistematica di ogni forma di partecipazione democratica, fosse anche quella, costituzionalmente garantita, degli organismi di rappresentanza. Questo sistema ha replicato, nei fatti, il meccanismo di dilapidazione di risorse pubbliche e di democrazia derivato dalle privatizzazioni e dalle varie forme di combinazione pubblico-privato.
Il territorio è diventato in questi dieci anni lo spazio delle lotte. Nel territorio si sono sviluppate le esperienze più significative e partecipate. Per quanto ancora strumento di grande importanza, lo sciopero ha perso parte della propria capacità d’incidere sulla realtà. Lo stesso legame d’interesse all’interno delle categorie e dei luoghi di lavoro si è rarefatto a causa della frantumazione delle categorie stesse. La moltiplicazione dei contratti ha reso sempre più difficile la costruzione di piattaforme comuni. Gli scioperi hanno visto una riduzione della partecipazione a causa del rapporto costi/benefici assolutamente deficitario e del significato più di posizionamento che davvero vertenziale di alcuni di questi. Così il territorio ha finito per diventare il campo di definizione di nuove alleanze. Soggetti anche molto diversi tra di loro sono riusciti a convivere e a condividere mobilitazioni ricompositive sui temi della difesa del territorio dalle devastazioni ambientali, sulla gestione delle risorse pubbliche, sulla nocività, sul reddito, sull’istruzione, sulla salute, sulla mobilità.
E’ sul territorio che si sono date le prime sperimentazioni relative al comune. L’acqua bene comune, gli spazi occupati bene comune, l’istruzione bene comune, la salute bene comune sono battaglie che hanno valenza universale, ma che si sostanziano a partire dai comitati locali, dalle aggregazioni locali. E’ sul terreno del locale che l’interesse comune viene percepito con maggiore facilità. Laddove il piano politico vive della perdita derivata dai tanti passaggi della mediazione, laddove il piano sindacale finisce per inseguire interessi particolari che, polverizzati, finiscono spesso per confliggere in una sorta di guerra di tutti contro tutti, lo spazio locale ha consentito l’incontro di molteplicità che hanno dato vita a lotte comuni. E sono i movimenti più avanzati sul piano del sindacale e della pratica dello sciopero che si costituiscono ormai su una dimensione territoriale. Le esperienze indignate, delle acampadas e dell’occupy in giro per il mondo sono esperienze territoriali. La manifestazione del 15 ottobre a Roma, che ha visto la partecipazione di centinaia di migliaia di persone, è stata animata in misura prevalente da esperienze, comitati, aggregazioni, movimenti territoriali, piuttosto che mossa dalla capacità delle organizzazioni nazionali. Nelle assemblee che l’hanno preceduta il richiamo all’unità che si dispone all’azione sul piano locale è stato il grido d’auto-aiuto più sentito.
La crisi ecologica (della quale il dissesto idrogeologico è fenomeno particolarmente gravido di pericoli e rappresentativo della rottura di tutti gli equilibri legati all’insediamento umano), la crisi della rappresentanza politica (evidente ormai a tutti i livelli nei quali si forma la decisione politica), la crisi economica (con il portato di crisi dei riformismi) consegnano ai territori il compito e la possibilità di ricostruire dal basso forme sostenibili dell’abitare, del decidere e del produrre. Il carattere strutturale delle crisi rende impossibile rintracciare delle soluzioni senza una fuoruscita dai dispositivi che le hanno causate. Da questo punto di vista, evidentemente, un governo guidato da personale della finanza e fondato sull’intimazione di una banca non può che rappresentare il tentativo di disporre la società ai flussi della finanziarizzazione, piuttosto che una difesa dai disastri di cui essa è portatrice.
Le pratiche del comune, le forme politiche originali di esodo dal privato e dallo statale, non possono che darsi sul territorio, laddove i corpi s’incontrano. Le pratiche del comune dovranno inondare il pubblico, guerreggiare affinchè esso venga riempito di partecipazione, autogestione, autorganizzazione, ma è solo al livello territoriale che sarà possibile, ad esempio, ricostruire, ripartendo dai saperi e dalle competenze locali, una dimensione urbanistica che consenta di sottrarsi al riprodursi sempre più frequente di eventi calamitosi. E’ solo a questo livello che sarà possibile costruire un welfare dal basso che consenta, attraverso forme di mutualismo e autogestione, di difendersi dalla penuria cui costringe la crisi economica. E’ a questo livello che si possono sperimentare forme di produzione auto-centrate, sostenibili e libere dalle forme dello sfruttamento.

I luoghi comuni non sono perimetrati. Riconoscono e recuperano saperi e vocazioni locali, ma non sono identitari. Sperimentano forme di autogoverno e non competono tra di loro. Sono territori che, dolcemente, si compenetrano. Dandoci ancora una possibilità.







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lunedì 21 novembre 2011

Alberto Lucarelli, assessore ai beni comuni del comune di Napoli, mercoledi 23 novembre a Padova




In preparazione della manifestazione nazionale a Roma del 26 novembre 2011 concretizziamo quello che 27 milioni di cittadine e cittadini italiani hanno affermato con il voto nei referendum del 12 e 13 giugno 2011:

Ripublicizzare La Gestione Del Servizio Idrico Eliminare I Profitti Sull'acqua.

Ripensare I Servizi Pubblici Come Beni Comuni.




Ore 20.30 Sala Paladin – Palazzo Moroni – Padova.


Con

Alberto Lucarelli Assessore ai Beni Comuni di Napoli


Valter Bonan Forum Veneto dei movimenti per l'acqua.


Introducono: Vilma Mazza, Giuliana Beltrame,


Alessandro Chieregato Comitato Provinciale 2 Sì per l’acqua bene comune.

Costruiamo la mobilitazione sociale più ampia perchè la gestione del servizio idrico non può restare nelle mani delle società per azioni, come la Multiutility AGEGAS APS io CVS che, per loro natura, rispondono alle logiche di mercato, come avviene, peraltro, nel ciclo dei rifiuti privilegiando gli inceneritori alla opzione rifiuto zero. L'acqua ed i beni comuni non possono essere ostaggio della speculazione finanziaria. La recente scelta politica dell'Amministrazione di Napoli dimostra che è possibile realizzare modelli di gestione del servizio idrico realmente pubblici e partecipati in cui al primo posto siano gli interessi della collettività. Nella serata sarà presentata la Campagna di obbedienza civile, in attuazione del secondo quesito referendario, per eliminare, attraverso percorsi collettivi di riduzione delle tariffe, i profitti sull'acqua cancellando dalle bollette il 7% di remunerazione del capitale, che ancora tentano illegalmente di farci pagare.

Comitato Provinciale 2 Sì per l’acqua bene comune - Padova



venerdì 18 novembre 2011

L'alternativa in stand-by


Da " Il Manifesto"

Oggi ospitiamo questa interessante riflessione che Tonino Perna offre dalle pagine de " Il Manifesto"


 Che strana sensazione che proviamo in tanti rispetto a questo governo Monti. Siamo smarriti, increduli e senza parole. Non sappiamo se gioire - per la scomparsa dell’incubo Berlusconi che è durato vent’anni - o cadere in depressione nel vedere un paese affidato ai cosiddetti tecnici di area e cultura liberal-cattolica. Certo, lo stile è ben altro e lo stile conta, non è solo forma: è sobrietà, la scelta del tono giusto, il senso della responsabilità che una carica pubblica comporta. Questa nuova immagine dell’Italia ci risolleva e riscatta a livello internazionale. Quanti italiani, recandosi all’estero, si sono vergognati in questi anni di fronte alla domanda: ma come fate a tenervi ancora Berlusconi? non siete il paese della cultura e dell’arte? Come vi siete ridotti!

Il presidente barzelletta, il presidente “orco” che organizza le orge, il presidente amico di Gheddafi e Putin, il presidente che tiene insieme una colazione di interessi criminali e sentimenti razzisti non c’è più. E questa è una liberazione. Ed è proprio questo il sentimento che accumuna una gran parte degli italiani in questo momento. Qualcuno però ammette: se non interveniva la Bce, il Fmi, il Vaticano, ecc. noi italiani non saremmo stati capaci da soli di mandarlo a casa, in galera o in una delle sue ville. D’altra parte, anche Mussolini ce lo saremmo tenuti – come Franco in Spagna - se l’Italia non fosse entrata in guerra e gli anglo-americani non ci avessero “liberato” dal nazifascismo bombardando pesantemente le nostre città.

Pertanto siamo contenti, ma siamo anche preoccupati, tanto da non goderci fino in fondo questo momento, questa fase della nostra storia che alcuni hanno già definito - esagerando - come “nascita della Terza Repubblica”. Non eravamo in pochi a sperare che la crisi finanziaria ed economica ci avrebbe portato a nuove elezioni nella prossima primavera, con la possibilità di scegliere uomini/donne e programmi alternativi. Le vittorie alle amministrative con inedite aggregazioni a sinistra, il grande successo dei referendum, ci avevano convinto che si stava aprendo una nuova fase politica in questo paese che ripensasse il modello di sviluppo, ponesse un limite alla mercificazione globale – estensione dei beni comuni - promuovesse una distribuzione più equa di reddito e lavori, valorizzasse la cultura e la ricerca finalizzate ad una conversione ecologica del nostro modo di vivere e lavorare. Questo popolo dell’alternativa è oggi in stand by. Sa che non esiste un governo tecnico, sa che questo governo ha una prevalente matrice liberista che è stata la medicina che ci ha portato al disastro. Sa che per uscire veramente da questa crisi non bastano tecnocrati amati a Bruxelles, ma un cambio radicale di politiche che disarmi la finanza, che ponga fine alla “guerra all’euro”, che riduca il debito ecologico. Sa tutto questo, ma non può farci niente, almeno per il momento. Cerca di capire con quali provvedimenti il governo tecnico ci vuole fare uscire dalla crisi. Come e se colpirà le grandi ricchezze e quanti sacrifici chiederà alla maggioranza dei lavoratori, pensionati, precari, ecc. Ma tutte le forze sociali e politiche che puntano ad un’alternativa di sistema non possono restare a bagnomaria per un anno e mezzo, sarebbe un suicidio politico. Né possono accontentarsi di qualche manifestazione contro questo governo (per altro impopolare, almeno per qualche mese), ma devono lavorare a costruire concretamente, con programmi, persone e pratiche sociali un’alternativa che risponda alla gravità della crisi che attraversa l’Europa e l’Occidente, che non è solo economico-finanziaria, ma è una vera e propria crisi delle istituzioni democratiche. Altrimenti saremmo vittime dei paradigmi bocconiani e finiremo anche noi per essere fatti "a Bocconi" dai sacerdoti del libero mercato, delle privatizzazioni, del dio denaro.

Tonino Perna

mercoledì 16 novembre 2011

Appello della scuola al Presidente incaricato sen. Mario Monti



Articolo 33 della Costituzione Italiana

L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento.
La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.
Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.




Le sottoscritte Associazioni della scuola ritengono che sia cruciale per il futuro del paese la funzione di una buona scuola della Repubblica.
Il programma del nuovo governo deve vedere protagonista la nostra scuola. Siamo per questo certi che esso non potrà in alcun modo prevedere nuovi sacrifici per la scuola pubblica statale, messa in ginocchio da tre anni di scriteriati e pesantissimi tagli.
Il rilancio, economico e non solo del nostro Paese o investirà sul futuro dei nostri giovani, avendo come protagonista la cultura, l’istruzione e la nostra scuola statale, o non si darà affatto.
Per questo chiedono al Presidente incaricato che il nuovo ministro dell’istruzione rappresenti in modo inequivocabile la scuola pubblica statale, che è il fondamento del nostro sistema scolastico ai sensi dell’art. 33 c.2 della Costituzione.

CIDI (Centro Iniziativa Democratica insegnanti)
CGD (Coordinamento Genitori Democratici)
FNISM (Fed naz. Ins. Scuola media)
Com. Nazionale Scuola e Costituzione
Ass.ne Naz. XXXI Ottobre
Ass. ne naz. le Per la Scuola della Repubblica
Assemblea genitori ed insegnanti delle scuole di Bologna e provincia
Assemblea permanente VII Circolo Montessori Roma
Coordinamento scuole secondo Municipio Roma
Coordinamento scuole superiori Roma
Ass. ne ReteScuole Milano
Consulta torinese per la laicità delle Istituzioni
Coordinamento Presidenti Consigli di Circolo e Istituto di Bologna e Provincia
Comitato bolognese Scuola e Costituzione
Comitato Genitori ed Insegnanti per la Scuola Pubblica di Padova
COOGEN di Torino
La scuola siamo noi Parma
Coordinamento Istruzione Bene Comune di Parma
Napoli Scuole-Zona Franca




Pubblicato da comitatonogelmini, 15 novembre 2011








martedì 15 novembre 2011

I cementifici inquinano quattro volte tanto gli inceneritori

Il Paesaggio euganeo - Il Ricordo dei Luoghi
Pubblichiamo una lettera del signor Leandro Belluco sulle cementerie ed il testo della interrogazione che, sullo stesso argomento, il parlamentare IDV Andrea Zanoni ha fatto alla Direttrice dell'Autorità Europea per la sicurezza alimentare 



La questione del grave inquinamento provocato dai cementifici è finalmente sbarcata in Europa.



L' incredibile normativa che consente per l'appunto ai cementifici di disporre di limiti di emissione per Ossidi di Azoto, Anidride Solforosa e Polveri Sottili assai meno restrittivi rispetto a quelli degli inceneritori sarà oggetto di attenzione a Bruxelles.
E l'Europa, a nome di Geslain-Lanéelle, Direttrice esecutiva dell'Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) ringrazia il parlamentare europeo Andrea Zanoni di aver messo in luce il problema. ". “Non sottovalutiamo i cementifici che emettono anche più inquinanti degli inceneritori, come a Pederobbia (Treviso) e Este e Monselice (Padova)”.
Sono anni che i comitati di Monselice "Lasciateci respirare" (precisamente dal 2005) ed "E Noi?" (dal 2010) avevano illustrato questa inaccettabile situazione.
Finalmente, dopo le interrogazioni senza risposta fatte al parlamento Italiano, la grave discrepanza viene considerata con attenzione in Europa.
Si ricorda che è stato proprio per aver evidenzaito pubblicamente questa situazione incomprensibile ed essersi chiesti a chi giovi questa discutibile normativa che Italcementi SpA ha citato per danni di immagine i due comitati della bassa padovana.
Un colosso dal fatturato di ca. 5 miliardi di euro/year che ogni anno spende per pratiche legali oltre 20 milioni di euro ha cercato di zittire i due comitati con l'unica arma che gli rimaneva: quella di impegnarli in azioni legali fuori della loro portata chiedendo danni per 160.000 euro, che significano una causa legale da oltre 200.000 euro.
Poco importa se tra molti anni Italcementi dovesse perdere la causa.
La somma e le risorse investite sono insignificanti per la potentissima multinazionale . Fondamentale era impegnare immediatamente, oltre le loro possibilità economiche, i due comitati e dare un segnale forse inequivocabile che chiunque avesse osato contrapporsi su una normativa così importante per i loro interessi avrebbe potuto essere trattato allo stesso modo.
I comitati hanno già asciugato completamente, a causa delle spese legali in difesa, le scarse risorse economiche di cui disponevano.
Per questo motivo si esortano tutti coloro che hanno a cuore la possibilità che i comitati possano continuare a difendere la gente nelle forme previste dalla legge e ritengano il comportamento messo in atto da Italcementi intollerabile di inviare un loro contributo economico ai due comitati tramite un bonifico bancario


IBAN: IT50M0504062661000000617222


o altra forma ritenuta più consona.


Infine si desidera ricordare che i soldi investiti nella difesa dei nostri diritti, del nostro territorio e della nostra salute sono quelli che garantiscono il più alto rendimento e per questo si chiede di inoltrare anche ad amici e conoscenti la presente informativa.


Cordiali saluti

Comunicato stampa 8 Novembre 2011

EFSA monitori effetti inceneritori e cementifici su colture e allevamenti
Andrea Zanoni (IdV) chiede alla Direttrice dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare uno studio sugli effetti dell'incenerimento di rifiuti su culture e allevamenti limitrofi. “Non sottovalutiamo i cementifici che emettono anche più inquinanti degli inceneritori, come a Pederobbia (Treviso) e Este e Monselice (Padova)”.

“L'Autorità europea per la sicurezza alimentare promuova uno studio sugli effetti delle particelle emesse da inceneritori e cementifici sulle colture dei campi agricoli vicini a queste strutture”, lo ha chiesto Andrea Zanoni, Europarlamento IdV, a Catherine Geslain-Lanéelle, Direttrice esecutiva
dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare di Parma (EFSA), ieri sera in commissione Ambiente al Parlamento europeo a Bruxelles.
“In Italia inceneritori e cementifici continuano a bruciare rifiuti a due passi da campi agricoli dove vengono coltivati i prodotti che poi finiscono sulle nostre tavole – ha detto Zanoni – come valuta l'Efsa l'incidenza delle particelle emesse da queste combustioni negli anni sulle coltivazioni agricole e sugli animali da allevamento?”.
“Molti non lo sanno, ma i cementifici, che di rifiuti ne bruciano eccome, hanno paradossalmente soglie di emissioni più alte da rispettare”. Zanoni ha fatto l'esempio del cementificio di Pederobba (Treviso), terra dei vigneti del prosecco, dove nel territorio limitrofo sono stati rilevati valori di benzopirene doppi rispetto a quelli consentiti dalla legge. E poi i cementifici di Este e Monselice (Padova) funzionante dal 1950 dentro un parco regionale, zona SIC e ZPS, con relative emissioni di anidride solforosa, ossidi di azoto e polveri sottili, rispettivamente 4, 8 e 3 volte il limite massimo consentito previsto per gli inceneritori. Infine, il cementificio di Fanna (Pordenone), dove in una zona vicina a Maniago è stata rinvenuta diossina in un pollo con valori superiori a 10 volte i limiti consigliati dalle direttive europee.“Senza dimenticare gli inceneritori, come quello vecchio di Brescia – ha proseguito l'Eurodeputato – dove sono state rinvenute tracce di diossina e policlorobifenile (Pcb) nel latte di ben 18 stalle di allevamenti vicini”. E poi le nuove strutture in costruzione. “A Russi (Ravenna) è in progetto un inceneritore che ha scatenato le proteste degli agricoltori della zona che si aggiungerà al paradosso dell'inceneritore in costruzione proprio a Parma, sede dell'EFSA stessa, a fianco dello stabilimento della Barilla”.
“Purtroppo ci sono grosse difficoltà ad ottenere dati precisi ed effettuare analisi visti gli interessi delle lobby dei cementifici in gioco – ha riferito Zanoni alla Direttrice EFSA – perché spesso i Comuni non vogliono impegnarsi contro gli effetti degli inceneritori che vengono costruiti”.

Geslain-Lanéelle ha ringraziato Zanoni per aver portato alla sua attenzione i casi di cui sopra. “E' importante difendere la salute dei cittadini, per questo l'agenzia monitora costantemente i prodotti alimentari del Paesi membri”. La direttrice EFSA si è dimostrata disponibile a raccogliere ed eventualmente a valutare le segnalazioni fatte dall'Eurodeputato che promette di “interessare le autorità europee ogni volta che quelle italiane falliscono nel proteggere la nostra salute”.


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lunedì 14 novembre 2011

Giorni e nuovole, mercoledi 16 novembre alle 21






Prosegue la rassegna fra ...  mmenti d'Italia con la proiezione, nella sede de " La Medusa" in via Garibaldi ad Este, del film di Soldini

Convegno sulla legge Romanato -Fracanzani



Le associazioni ambientaliste del Parco dei Colli Euganei organizzano per sabato 26 novembre ,dalle 9,30 alle 17, ospiti della Azienda Agricola alla Costigliola di Rovolon, il convegno " 1971-2011.Storia ed attualità della Legge 1097/71" firmate dai due parlamentari Romanato e Fracanzani, che di fatto diede il via alla chiusura di numerose cave sui Colli Euganei.
  Il convegno si svolge sullo sfondo di una situazione politico-ambientale del Parco a dir poco preoccupante. A pochi giorni dal convegno stesso, l'1 dicembre, ci sarà un


Consiglio del Parco per eleggere il nuovo Presidente ed il nuovo Direttore (ma anche, tra l'altro, Commissione Tecnica, Comitato tecnico-scientifico....). Più che un confronto su problemi, programmi, progetti ... è in corso una specie di guerra per bande per occupare le nuove cariche. Mentre in Regione, in modo carbonaro, si sta lavorando per depotenziare e svilire il ruolo dei parchi nella gestione del territorio.
Il Convegno, che si arricchirà della presena di giornalisti e ambientalisti, farà il punto anche sul minaccioso presente che mette in serio rischio l'esistenza del Parco Colli.



giovedì 10 novembre 2011

Democrazia. L’unica scelta per fronteggiare la crisi



LA POSIZIONE DELLA SEGRETERIA NAZIONALE DI SEL

Se il ventennio fascista condusse nel baratro della guerra il paese, il quasi ventennio del populismo berlusconiano ha prodotto macerie economiche e sociali che ci hanno condotto al disastroso rischio di default attuale. Bisogna mettere la parola fine al dominio politico di Berlusconi, ma bisogna immediatamente guardarsi dalle insidie del berlusconismo. Ogni esperienza, anche quelle che intendono fronteggiare in buona fede l'evidente emergenza economico finanziaria, non possono sopportare l'ipoteca berlusconiana. Il rischio che un governo di emergenza diventi l'ancora di salvataggio del regime precedente è in campo, nonostante l'autorevolezza della figura di Mario Monti, prolungando una fase di incertezza che sarebbe dannosa per la nostra fragilissima finanza pubblica e per l'intera situazione economica del paese.
Siamo consapevoli che per affrontare la crisi ci sia bisogno di responsabilità e impegni straordinari. Siamo tuttavia convinti che per affrontare i prossimi anni sia necessario chiedere ai cittadini di scegliere su quali opzioni fondare un nuovo governo, condividendo gli oneri di una fase così drammatica per il paese. Per questo riteniamo che siano necessarie elezioni presto, per dare una prospettiva più certa e legittimata.
Un governo di emergenza non può che essere a tempo e con un immediato obiettivo: fronteggiare l'emergenza dei conti con una patrimoniale vera, che non colpisca i cittadini che stanno già pagando gli effetti nefasti della recessione, e restituire la parola agli italiani con il voto. Il cambiamento è necessario, i cittadini e le cittadine italiane dovranno essere i protagonisti di questa fase. La democrazia è la più grande risorsa per la salvezza del nostro paese.



Sinistra Ecologia Libertà Padova e provincia

mercoledì 9 novembre 2011

Rilanciare l'autunno, costruire l'alternativa

Foto Roma 15 ottobre @ Annalisa Bano  Mentre scriviamo la scena politica del paese sta mutando radicalmente: si tratta forse di ore, ma ciò che è certo è che il governo Berlusconi è stato sfiduciato. Innanzitutto da due anni di mobilitazioni sociali nelle fabbriche, nelle scuole e nel territorio, da 27 milioni di cittadini nei referendum. Di conseguenza, la presa d'atto della mancata pace sociale in Italia ha determinato lo scaricamento di queste ore da parte dei mercati finanziari e del G20 di Cannes. Questo mentre in Grecia Papandreou si dimette e apre la strada a un governo di unità nazionale, capace di fare le riforme economiche richieste dalla Bce e dal Fmi, per poi portare i greci alle urne. Chi sostituirà Papandreou? Con buona probabilità l'ex vice-presidente della Bce. Chi sostituirà Berlusconi? Monti? Non è escluso, anzi. Un governo tecnico che faccia le «scelte impopolari» richieste a gran voce da Bce e Fmi e ribadite dal presidente Napolitano: annullamento delle pensioni di anzianità e passaggio definitivo alla previdenza contributiva; flessibilità in uscita ovvero libertà di licenziare; privatizzazioni e liberalizzazioni; aumento delle tasse universitarie e accorpamento delle scuole, oltre che delle classi. Come ci spiega Ostellino, le ricette neo-liberali per uscire dalla crisi. Sarà un «governo del presidente» a decretare la fine del ventennio berlusconiano? Probabile. D'altronde - ce lo dice con il solito rigore Ilvo Diamanti - Napolitano è il solo leader politico che, nellla crescente sfiducia degli italiani nei confronti della democrazia rappresentativa, continua a godere di un largo consenso popolare.

In una lunga e appassionata riunione che si è tenuta domenica a Roma, Uniti per l'Alternativa è partita da qui, dalla necessità dei movimenti di respingere ogni ipotesi di governo tecnico o del presidente, le ipotesi, cioè, che pensano, come chiarisce Panebianco sul Corsera, di «mettere tra parentesi la politica». Vogliamo che Berlusconi se ne vada subito a casa e che ci sia modo, con la democrazia, di esprimere il desiderio di alternativa alle sue politiche e a quelle della Bce. È proprio la crisi del capitalismo finanziario che sta esplicitando l'incompatibilità tra quest'ultimo e le procedure democratiche. Sono i mercati finanziari a far fuori Berlusconi, sono la Bce e il Fmi, istituzioni non elettive, a «commissariare» le politiche economiche del nostro fragile paese. Affermare la democrazia contro la dittatura della finanza è oggi compito decisivo dei movimenti sociali, quei movimenti che non solo pensano a resistere, ma, resistendo, già immaginano una nuova società, un nuovo modello di sviluppo.
Per questo, dopo la battuta d'arresto del 15 ottobre romano, Uniti per l'Alternativa guarda avanti, alle nuove scadenze di mobilitazione che già si affollano nel mese di novembre, un mese che sarà finestra temporale di grandi scosse telluriche, nell'economia e nella politica. Guarda avanti, nella consapevolezza che i fatti del 15 non hanno frenato il desiderio di partecipazione delle centinaia di migliaia di persone che hanno affollato quella piazza con la manifestazione più grande del mondo.
L'11 novembre Occupy Wall Street ha lanciato una nuova giornata di mobilitazione transnazionale e dislocata contro la dittatura della finanza, quell'1% della popolazione mondiale che tiene in ostaggio il restante 99%. Uniti per l'Alternativa sosterrà le tante iniziative che si svolgeranno in Italia, in sintonia con quanto accadrà negli Usa e nel resto del mondo, dalle accampate ai flash mob, le tante forme, creative e conflittuali, che vogliono denunciare la violenza delle banche e degli hedge fund. Il 17 novembre, poi, ci saranno le tante piazze della mobilitazione studentesca. Studenti medi e universitari tornano in piazza contro le politiche di austerity, contro l'aumento delle tasse universitarie, per il rifinanziamento pubblico di scuola e università. Il 26 novembre, infine, sarà la volta della manifestazione indetta dal Forum acqua bene comune, in difesa dei risultati referendari del 12-13 giugno, per affermare i beni comuni (mobilità, saperi, servizi) contro le privatizzazioni imposte da Bce e Fmi.Uniti per l'Alternativa è uno spazio politico di movimento che connette reti studentesche e sindacalisti metalmeccanici, centri sociali e associazionismo ambientalista; non è uno spazio o un soggetto politico identitario. Per questo sosterrà le mobilitazioni di novembre a partire dal ruolo che i tanti soggetti che lo compongono esercitano già nei movimenti e nelle reti sociali. Non faremo spezzoni nei cortei ma saremo parte attiva, in tutta Italia l'11 e il 17, a Roma il 26, delle mobilitazioni e della loro preparazione.

*Uniti per l'Alternativa






Cinema: terzo incontro stasera 9 novembre alle 21

 
 
"Ferie d'Agosto" di Paolo Virzì è la pellicola in programma per stasera nella sede de " La Medusa", in via Garibaldi ( ex Collegio Vescovile) ad Este. Siete tutti invitati per discutere e parlare insieme di vizi e virtù della nostra società

lunedì 7 novembre 2011

Il Comitato Lasciateci Respirare compie 15 anni




SABATO 12 NOVEMBRE 2011


PRESSO L'OSTELLO DI VALLE SAN GIORGIO DI BAONE (PD)

ORE 18.00 DIBATTITO

 "Il ruolo dei Comitati nella Bassa padovana e le nuove sfide in difesa della salute e dell'ambiente".

NE PARLIAMO CON


- Francesco Corso - Sindaco di Baone


- On. Margherita Miotto - parlamentare PD


- Francesco Miazzi - tra i fondatori del Comitato


- Silvia Mazzetto - Comitato "E NOI?"


- gli Amministratori locali e i rappresentanti dei Comitati e delle Associazioni


coordina il dibattito OMAR MONESTIER - direttore de "Il Mattino di Padova"


ORE 19.30 APERITIVO


ORE 20.00 CENA *

La Cena sarà autogestita utilizzando le cucine dell'Ostello. Chi vuol dare una mano, portare un piatto o delle verdure, un dolce o qualche bottiglia di vino... si faccia vivo!
Le sale a disposizione sono 2 (40 + 30 posti circa) - potete quindi partecipare con le vostre famiglie.

IL COSTO INDICATIVO E' DI 15 EURO GLI ADULTI - 7 EURO I BAMBINI

DIFFONDETE L'INVITO A TUTTI I VOSTRI/NOSTRI AMICI e a quanti hanno attraversato le iniziative del Comitato.

PER ESSERE SICURI DI TROVARE POSTO... MA SOPRATUTTO PER SAPERE QUANTI SIAMO E IL CIBO DA PREPARARE, VI CHIEDIAMO DI COMUNICARE PRIMA POSSIBILE LA VOSTRA ADESIONE. ai primi 10 che si prenotano un libro sul Parco in omaggio (e non è uno scherzo...), gli altri potranno averlo solo con un contributo.

PER INFO E PRENOTAZIONI


mandate una mail a fmiazzi@gmail.com oppure a info@lasciatecirespirare.it
sms o chiamata a Gabriele 3470349220 - Stefano 3406629731

N.B. pensiamo sia una bellissima occasione per stare un pò in compagnia e... IL RICAVATO ANDRA' ALLE CASSE DEL COMITATO CHE COM'E' NOTO DEVE FRONTEGGIARE DIVERSE SPESE, ANCHE LEGALI - solo l'ultima è di 2000 euro per il ricorso al Consiglio di Stato -
Per chi non può partecipare e intende comunque sostenere l'iniziativa, ricordiamo il codice IBAN intestato al "Comitato Popolare Lasciateci Respirare" IT 50 M 05040 62661 000000617222
P.S. CHI HA FOTO, VIDEO E ALTRI MATERIALI SULLE INIZIATIVE DEL COMITATO E' PREGATO DI COMUNICARLO E/O DI PORTARLE LA SERA DELLA FESTA



giovedì 3 novembre 2011

“Freedom Waves to Gaza”

AGITE ORA PER DIFENDERE LE IMBARCAZIONI OGGI DIRETTE VERSO GAZA


International Solidarity Movement, Gaza   

Due navi, chiamate “Freedom Waves to Gaza” si trovano ora in acque internazionali per raggiungere Gaza assediata. Su di esse saranno presenti 27 civili di 9 nazionalità, incluso un palestinese proveniente dai territori del '48. Si tratta di un'altro tentativo nonviolento da parte di infrangere l'assedio illegale che pesa su Gaza, che ha reso i palestinesi dipendenti dall'aiuto internazionale ed ha imposto forti restrizioni al movimento da e verso il loro stesso territorio.

“Freedom Waves to Gaza” è rimasto segreto fino a questo momento per paura di sabotaggi e blocchi israeliani, come è successo con la Freedom Flotilla 2: stay human. Ora si tratta di fare in modo che Israele non aggredisca “Freedom Waves to Gaza” impedendo il loro arrivo nella striscia, come è successo con la prima Freedom Flotilla, in aperta violazione della legge internazionale e col silenzio complice del mondo occidentale. Per evitare questo è necessario il vostro aiuto.

Vi si chiede di agire in favore di quest'iniziativa in qualunque modo consideriate sia efficace nel vostro contesto. In particolare proponiamo di:
Diffondere la notizia di quest'iniziativa quanto più possibile, e fare pressione sui media perchè ne parlino. Se Israele potrebbe agire meno violentemente se si sente gli occhi del mondo puntati addosso.
Fare pressione sull'ONU e sulla comunità internazionale, seguendo l'esempio dei giovani palestinesi che in Cisgiordania attueranno un sit-in presso il complesso delle Nazioni Unite a Ramallah, chiedendo all'organismo internazionale di "adottare misure urgenti per proteggere questa missione e porre fine alla loro complicità con il blocco criminale imposto da Israele sulla Striscia di Gaza."
Essere pronti ad organizzare proteste nel caso in cui la reazione di Israele impedisca agli attivisti di raggiungere i porti di Gaza.
Facciamo appello alla vostra umanità per agire, ed agire con urgenza. Le navi si trovano già in mare aperto, ed il successo di quest'impresa dipende dal supporto che riceverà dall'esterno.

















Le città e i desideri: conferenza programmatica provinciale S.E.L.

Sinistra Ecologia Libertà ha organizzato la sua prima Conferenza Programmatica per Padova e provincia SABATO 5 NOVEMBRE presso la Sala Polivalente di Via Diego Valeri, 17, a Padova, con inizio alle ore 9.  
  Il titolo della Conferenza, “Le città e i desideri”, richiama una delle sezioni del famoso libro Le città invisibili di Italo Calvino, e allude con tutta evidenza alla necessità e all’inportanza, pur in questa fase di crisi finanziaria e di contrazione delle risorse, e anzi per certi versi proprio adesso, di dare forma ai propri desideri e ai propri ideali, immaginando e progettando le città e i territori del futuro. L’immagine che accompagna il titolo, d’altronde, è il famoso affresco dell’Allegoria del Buon Governo del Lorenzetti nella Sala della Pace del Palazzo Pubblico di Siena, e segnala simbolicamente la necessità di trasformare desideri e ideali in progetti e proposte concrete, come è proprio di una forza di governo come Sinistra Ecologia Libertà.
  La Conferenza, aperta dai saluti di rito e da una breve introduzione del coordinatore provinciale Attilio Motta, si articolerà in tre sessioni:
su Economia, Lavoro, Welfare (9.30-11.30), su Ambiente, Urbanistica, Territorio (11.30-13.30) e, dopo pranzo, su Cultura, formazione e diritti (15-17).
In ciascuna sessione saranno presentate alcune analisi e proposte su Padova e la sua provincia elaborate dal partito in questi mesi, che potranno essere discusse nel dibattito anche da esponenti dei sindacati, delle associazioni industriali, da esponenti di altri partiti, tutti invitati alla giornata.
Al termine, ore 17, concluderà l'incontro GENNARO MIGLIORE, della segreteria nazionale di Sel.

Il programma della giornata

9.00: Apertura dei lavori e saluto delle autorità.
9.15: Attilio Motta, coordinatore provinciale SEL Padova, Introduzione alla giornata.
9.30-11.30: Sessione I. Economia, Lavoro, Welfare
Partecipano alla discussione, tra gli altri: Etta Andreella, Gianluca Baratto, Marco Benati, Andrea Castagna, Giovanni Chiara, Silvano Cogo, Marco Paggi, Rossano Palazzin, Michele Salvato, Silvio Schievano, Palma Sergio, Ilario Simonaggio, Renzo Soranzo, Maristella Urbano.
11.30-13.30: Sessione II. Ambiente, Urbanistica, Territorio
Partecipano alla discussione, tra gli altri: Beatrice Andreose, Federico Boscaro, Luisa Calimani, Fabio Casetto, Sergio Lironi, Francesco Miazzi, Mario Nalin, Roberto Pasquato, Maurizio Pioletti, Alessandro Zan.
13.30: Pausa pranzo
15.00-17.00: Sessione III. Cultura, Formazione, Diritti
Partecipano alla discussione, tra gli altri: Lorenza Annoni, Adone Brandalise, Augusto Da Rin, Danilo Del Bello, Renzo Deana, Mariateresa Di Riso, Guido Galesso, Nicola Garbo, Paola Irato, Marina Mancin, Elena Ostanel, Alberto Tonolo, Antonio Toscano, Paolo Wieczorek, Mara Zampieri, Emanuele Zinato, Angelo Zuppardo.

17.00: Gennaro Migliore, segreteria nazionale SEL, Conclusioni.



No al carbone: il successo della protesta



 La manifestazione del 29 ottobre ad Adria contro il carbone a Porto Tolle è stata un successo.
Lo è stata nei volti normali, sorridenti e non violenti, delle famiglie,dei bimbi, della gente comune, in larga parte polesani, che componevano il serpentone colorato lungo un chilometro e mezzo che ha sfilato gioioso per le vie della città etrusca.
Lo è stata aldilà del puntuale e stucchevole balletto di cifre sul numero dei partecipanti.Lo è stata oltre il livore dei prezzolati sostenitori del carbone che vanno, tutto pagato, in giro per il Veneto o l’Italia in qualche centinaio a sostenere una riconversione che Enel stessa, nei fatti, sembra allontanare procrastinando di sei mesi in sei mesi l’inizio dei lavori, ormai siamo al 2013, prendendoli per disperazione e per i fondelli.
E’ stato un successo nelle parole dei commercianti adriesi pentiti di aver ascoltato i consigli di qualche mestatore che inoculava terrore e si sono persi, in parte, il guadagno del sabato mentre gli esercizi commerciali aperti facevano guadagni inusitati e i bar e i ristoranti che non hanno dato ascolto alle “fonti ben informate” che parlavano di calata dei lanzichenecchi esaurivano le scorte in magazzino.

 Lo è stato nelle parole del sindaco di Adria Massimo Barnujani che ammette che la città che amministra non ha mai visto tanta partecipazione ad un evento simile.
Lo è stato nell’incontro di quella moltitudine che, a spese proprie e non a rimborso a piè di lista di una multinazionale, ha deciso di esserci.
Quando abbiamo pensato alla necessità di significare la contrarietà in ogni sito nazionale dove esiste la minaccia del carbone, ieri si è manifestato in nove località oltre ad Adria , sapevamo di sguarnire la manifestazione principale, ma è stato giusto così, è stato doveroso dare voce alla protesta laddove il danno è subito o si vuol portare.
 La democrazia si fa rispettando le leggi a salvaguardia di tutti e non modificandole ad uso e consumo del più forte. Sabato ad Adria ha sfilato e parlato il futuro.





Non è che l’inizio.
COORDINAMENTO VENETO CONTRO IL CARBONE