venerdì 23 dicembre 2011

RUOLO DELL’AREA DI ESTE NELLA STRUTTURA ECONOMICA DELLA PROVINCIA DI PADOVA

Pubblichiamo una interessante analisi a cura di Raffaella Massaro e Sandro Sanseverinati per conto della Delegazione Confindustria di Este

Territorio e popolazione
L’area della Delegazione Confindustria di Este, situata nella zona sud/sud-ovest della provincia di Padova, ha una superficie complessiva di 759 chilometri quadrati, pari a oltre 1/3 della superficie provinciale (35,3%). Nei Comuni dell’area di Este al 31 dicembre 2010 risiedono 154.295 abitanti (il 16,5% della popolazione provinciale). Di questi, il 6,7% sono cittadini stranieri: una percentuale decisamente più bassa di quella registrata a livello provinciale (9,8%). La popolazione mostra una densità abitativa più bassa di quella media provinciale: si contano infatti 203,4 abitanti per kmq (435,1 abitanti per kmq il dato provinciale). E’ un valore cresciuto di poco nell’ultimo decennio a causa di una dinamica della popolazione decisamente meno positiva di quella media provinciale (+3,8% a fronte del +9,9% della provincia). Solo nei comuni di Solesino (703 abitanti/kmq) ed Este (512 abitanti/kmq) la densità è superiore alla media provinciale testimoniando di un’area che conserva possibilità di sviluppo del territorio nel rispetto della sostenibilità ambientale.

Occupazione

I dati Istat tratti dall’Archivio ASIA e una stima della CCIAA di Padova per i comuni con meno di 5.000 abitanti consentono di quantificare l’occupazione nelle attività industriali e terziarie nell’area di Este (ultimo dato disponibile 2008) in 47.467 unità, il 13,5% del totale degli addetti della provincia. Nei due comuni di Este e Monselice risulta concentrato quasi un terzo degli addetti (30,9%). Nell’area fra il 2007 e il 2008 si è registrato un aumento nel numero degli addetti del +0,2% meno significativo della media provinciale, ma con andamenti estremamente differenziati nei diversi comuni. Incrementi a due cifre verificati a Saletto (+38,3%), Barbona (+24,4%) e Piacenza d’Adige (+13%). I comuni che hanno invece perduto una quota maggiore di imprese sono stati Merlara (-10,4%), Ponso (-8,4%), Ospedaletto (-6,5%) e Monselice (-5,4%).
Si fa riferimento ai Comuni di Anguillara Veneta, Arquà Tetrarca, Arre, Bagnoli di Sopra, Baone,
Barbona, Boara Pisani, Carceri, Casale di Scodosia, Castelbaldo, Cinto Euganeo, Conselve, Este,
Granze, Lozzo Atestino, Masi, Megliadino S.Fidenzio, Megliadino S.Vitale, Merlara, Monselice,
Montagnana, Ospedaletto Euganeo, Pernumia, Piacenza d'Adige, Ponso, Pozzonovo, S. Pietro
Viminario, Santa Margherita d'Adige, Saletto, Sant'Elena, Sant'Urbano, Solesino, Stanghella, Tribano,
Urbana, Vescovana, Vighizzolo d'Este, Villa Estense, Vo'


Occupati nell’industria e terziario nella Delegazione di Este


L’occupazione si concentra per il 39,3% nell’industria manifatturiera (18.663 unità)

con una percentuale di sette punti superiore a quella riscontrata nel totale della provincia (32,1%), il 30,7% lavora nelle attività di commercio, trasporti e turismo, il 18,2% nei servizi alle imprese e alle persone e l’11,7% nell’edilizia. Percentuali particolarmente elevate di occupati nel settore manifatturiero si riscontrano nei comuni di Bagnoli di Sopra (73,9%), Casale di Scodosia (71%) e Vighizzolo d’Este (70%).

Attività economiche

Nel territorio di Este sono presenti (al 31 dicembre 2010) 20.098 unità locali operative - dei settori agricoltura, industria, artigianato, commercio e servizi - pari al 17,9% del totale provinciale: un’impresa ogni 8 abitanti (una ogni 10 al netto dell’agricoltura). L’industria manifatturiera e le costruzioni rappresentano insieme il 27,5% delle unità totali (36,6% al netto delle attività agricole). Le imprese agricole sono il 24,7%: una percentuale molto più elevata della media provinciale (14,6%), nonostante la continua contrazione dato che dal 2001 ad oggi le attività agricole sono diminuite del 30,5% (-3,2% nell’ultimo anno). Il commercio-alberghi-ristorazione rappresenta il 27,9% del totale, mentre i servizi alle imprese e alle persone il 19,6 per cento. La variazione del numero di imprese nel 2010 è stata negativa e pari al –0,6%, percentuale in controtendenza rispetto al leggero aumento registrato nel complesso della provincia (+0,2%). Di poco positiva la variazione al netto dell’agricoltura: +0,3% a fronte del +0,7% della media provinciale.
Anche nell’analisi di lungo periodo l’area di Este mostra alcune peculiarità. Fra il 2001 e il 2010 il numero complessivo delle unità locali ha subito una flessione (-3,1% a fronte del +4,5% della media provinciale), se però si considerano le sole attività non agricole si registra un incremento del +11,3% coerente con la media provinciale (+15,7%). Alla variazione negativa delle attività agricole (-30,5%), si accompagna una tendenza anch’essa negativa dell’industria manifatturiera in senso stretto (-12,4% a
fronte di un –11% a livello provinciale), mentre si registra il +25,2% delle costruzioni (+39,2% la media provinciale), +8,7% di commercio-alberghi-ristorazione (+11,2%), +34,4% dei servizi alle imprese e alla persona (+35,6%). L’andamento descrive una presenza tuttora importante delle attività agricole alla quale si affianca una ancora insufficiente presenza di servizi in particolare di quelli più innovativi rivolti alle imprese. Nonostante l’incremento che ha portato nell’area di Este i servizi alle imprese e alle persone a pesare dal 14,1% del 2001 al 19,6%, il valore risulta ancora di sette punti inferiore alla media provinciale (26,6%). Il peso delle attività commerciali, degli alberghi e della ristorazione è del 27,9% (31,1% il valore della provincia). In linea con la media provinciale risulta invece la presenza di attività manifatturiere in senso stretto (13,6% a fronte del 13,4%) e delle costruzioni (13,9 a fronte del 14,1%). Ufficio Comunicazione e Stampa, Studi 6

Il reddito prodotto

Nell’area di Este nel 2009 (ultimo dato disponibile) è stato di 3 miliardi 494 mila euro, pari al 14,7% del prodotto interno lordo provinciale. Il reddito pro-capite è di 22.645 euro annui: un valore inferiore a quello rilevato per l’intera provincia di Padova, pari a 25.413 euro per abitante, fortemente influenzato dal valore del Comune capoluogo (33.180 euro). Punte superiori alla media provinciale si
registrano nei comuni di Monselice (29.519), Este (28.383), Megliadino S.Fidenzio (27.095), Montagnana (26.512) e Casale di Scodosia (26.391).

mercoledì 21 dicembre 2011

Natale, più "km zero" e meno caviale nei cenoni

Il risparmio sulle tavole degli italiani è dovuto alla rinuncia alle mode esterofile del passato pagate a caro prezzo come champagne, caviale, ostriche, salmone o ciliegie e pesche fuori stagione e all’ aumento dei prodotti Made in Italy magari a chilometri zero sulle tavole degli italiani. E’ quanto afferma la Coldiretti nel sottolineare che quasi tre italiani su quattro (73 per cento) per il Natale 2011 intendono acquistare prodotti Made in Italy e addirittura il 33 per cento degli italiani intende regalare prodotti alimentari locali a chilometri zero e il 28 per cento prodotti biologici secondo l’indagine dell’Swg.
La crisi cambia le modalità di acquisto con ben l’84 per cento degli italiani che frena i propri impulsi alla ricerca del miglior convenienza nel rapporto prezzo e qualità dei prodotti e dei punti vendita. Di fatto si allungano i tempi sia per la ricerca dei regali che per la scelta dei prodotti da utilizzare per imbandire i tradizionali cenoni che secondo le stime di Confesercenti saranno piu’ povere del 19 per cento con una spesa per la cena della vigilia e per il pranzo di Natale che sara' di 2,3 miliardi. Si assiste all'affermarsi di uno stile di vita che riduce gli eccessi e gli sprechi, ma è attento alla qualità e alla sicurezza dell’alimentazione. Tra i prodotti piu’ gettonati immancabili sono lo spumante e i dolci tipici del Natale con la tendenza a riscoprire quelli piu’ artigianali della tradizione regionale come i fichi a crocetta ricoperti al cioccolato e i torroncini, dolci al cedro e al bergamotto in Calabria, la gubana in Friuli, il pandolce in Liguria, gli struffoli in Campania, i porcedduzzi in Puglia o il panone di Natale in Emilia. Tiene anche la domanda di formaggi e salumi tipici, ma anche quella di cotechini, e legumi come le lenticchie.
Più frequentati quest’anno i tradizionali mercatini di Natale dove si stima che - sostiene la Coldiretti - quasi dieci milioni di italiani acquisteranno i regali. Una tendenza che si esprime anche con il boom degli acquisti direttamente dagli imprenditori agricoli in azienda o nei mercati e botteghe di Campagna Amica dove è garantita genuinità, convenienza e una maggiore originalità rispetto alle offerte natalizie standardizzate dei punti vendita tradizionali. In molti casi è possibile prepararsi o farsi preparare i tipici cesti natalizi con prodotti inimitabili caratteristici del territorio.










lunedì 19 dicembre 2011

Cementifici, l'Ue abbassi i limiti di emissioni

  I Comitati "E NOI?" e "Lasciateci respirare" esprimono un pubblico ringraziamento ad Andrea Zanoni, Eurodeputato IdV, che con l'interrogazione parlamentare alla Commissione europea, ha portato all'attenzione di questo organismo Comunitario l'incredibile anomalia della disparità dei limiti di emissione tra cementifici ed inceneritori, per gli stessi inquinanti. Il ringraziamento è dovuto anche al fatto di aver evidenziato la criticità della situazione nella bassa padovana, dove sono presenti 3 cementifici nel raggio di 5 KM, segnalando le lacune normative che non tengono in considerazione la loro vicinanza (quindi l'effetto cumulativo degli inquinanti emessi), la distanza dalle zone abitate e la loro collocazione all’interno di territori protetti, come dovrebbe essere quello del Parco dei Colli Euganei.

Comunicato stampa 19 dicembre 2011


Ad Este e Monselice (PD) ci sono tre cementifici in un raggio di 5 km. Zanoni (IdV) chiede alla Commissione europea di rivedere i limiti di emissioni (addirittura più alti degli inceneritori). “Considerare anche l'effetto cumulativo degli inquinanti e la vicinanza a centri abitati”
“L'Ue deve abbassare i limiti di emissioni dei cementifici che immettono in atmosfera quantità enormi di inquinanti e per i quali oggi esistono limiti addirittura più permissivi che per gli inceneritori”. Lo chiede Andrea Zanoni, Eurodeputato IdV, con un'interrogazione parlamentare alla Commissione europea. “Nei Comuni di Este e Monselice, in provincia di Padova, c'è una situazione paradossale: in un raggio di 5 km e all’interno del Parco Regionale dei Colli sono in funzione ben tre cementifici”.
Zanoni chiede alla Commissione di rivedere i limiti previsti dalla direttiva IPPC (2008/1/CE) nell'ordine di polveri totali 30 mg/Nm3, biossido di zolfo 600 mg/Nm3 e ossido di azoto 1.800 mg /Nm3. Si tratta di limiti ben più alti rispetto ai già nocivi ed altamente inquinanti inceneritori. “In queste strutture spesso viene bruciato di tutto – spiega Zanoni – senza considerare il fatto che il Parco rientra nei siti di interesse comunitario previsti dalla rete ecologica delle zone protette di Natura 2000, nonostante il suo Piano ambientale definisce i cementifici incompatibili con le finalità del Parco, sollecitandone la riconversione o la delocalizzazione”.
“Purtroppo la Provincia di Padova ha espresso parere favorevole sul rinnovamento dello stabilimento di Italcementi di Monselice – prosegue l'Eurodeputato – decisione che ne prolungherebbe l’attività per altri 30 anni”. Il Tar del Veneto ne ha riconosciuto il contrasto con il Piano Ambientale e adesso siamo in attesa del Consiglio di Stato che si pronuncerà il 17 gennaio. “Sta di fatto che a causa dell’elevato inquinamento, il "Piano di Tutela e risanamento dell'Atmosfera" ha collocato i comuni di Este e Monselice in "zona A", ovvero area da risanare”, continua Zanoni.
Secondo il leader ambientalista, all'origine di tutto c'è “la macroscopica ed incomprensibile diversità dei limiti di emissione tra cementifici e altre strutture altamente nocive come gli inceneritori per gli stessi inquinanti pericolosi per la salute”. Per questo Zanoni chiede alla Commissione di abbassare i limiti di emissione dei cementifici tenendo anche in considerazione la loro vicinanza (quindi l'effetto cumulativo degli inquinanti emessi), la distanza dalle zone abitate e la loro collocazione all’interno di territori protetti.
“L'Ue deve prendere le misure necessarie per salvaguardare la salute dei cittadini, ad Este e Monselice come in tutta Europa”, conclude Zanoni.
Ufficio Stampa On. Andrea Zanoni




giovedì 15 dicembre 2011

Finanza locale, gestione dei servizi pubblici e autonomie municipali in Italia

MunicipioIl Centro studi per l'Alternativa Comune, in collaborazione con il Gruppo consiliare Lista “in comune” di Venezia – a partire dalla presentazione del nuovo libro di Alberto Lucarelli Beni comuni. Dalla teoria all'azione politica (Dissensi, Napoli 2011), in preparazione del Forum degli amministratori per i beni comuni proposto dal Sindaco di Napoli e di ulteriori occasioni di confronto per l'alternativa costituente in Europa – propone un INCONTRO PUBBLICO sul tema

                               
                                VERSO LA COSTRUZIONE DI UNA RETE  
                             DI  AMMINISTRATORI PER I BENI COMUNI

                                Crisi della democrazia e crisi monetaria in Europa.
                 Finanza locale, gestione dei servizi pubblici e autonomie municipali in Italia

                            Venezia domenica 18 dicembre dalle ore 10.30 alle 13.30
                     presso la sala consiliare del Municipio di Venezia Ca' Loredan – Farsetti


Amministratrici e amministratori di tutto il Veneto ne discutono con

Giuseppe Bortolussi (segretario Associazione Artigiani Mestre), Luca Romano (ricercatore sociale Local Area Network), Alberto Lucarelli (assessore ai beni comuni e alla democrazia partecipativa – Comune di Napoli, autore del volume), Sergio D'Angelo (assessore alle politiche sociali – Comune di Napoli)

saluto del Sindaco di Venezia Giorgio Orsoni

introduce la discussione Gianfranco Bettin (assessore all'ambiente e ai beni comuni del Comune di Venezia)

Partecipano, tra gli altri: Luigi Amendola (consigliere provinciale di Treviso), Beatrice Andreose (consigliera del Parco Colli – Este PD), Cinzia Bottene (consigliera comunale di Vicenza), Beppe Caccia (consigliere comunale di Venezia), Heidi Crocco (assessora Comune di Cavarzere VE), Flavio Dal Corso (presidente Municipalità di Marghera – Venezia), Marco Favaro (consigliere comunale di Caorle VE), Carlo Martin (consigliere comunale di Campolongo Maggiore VE), Giannandrea Mencini (consigliere Municipilità Venezia), Francesco Miazzi (consigliere comunale di Monselice PD), Camilla Seibezzi (consigliera comunale di Venezia), Franco Tasinato (consigliere comunale di Megliadino S.V. PD), Antonella Tocchetto (consigliera comunale di Treviso), Francesco Vendramin (consigliere comunale di Mira VE), Alessandro Zan (assessore Comune di Padova), Rita Zanutel (vicesindaco di San Stino di Livenza VE), Claudia Garavello, Nicola Dettino, Lanfranco Tarabini (consiglieri comunali di Malo VI), Francesco Borgato (consigliere comunale di Brogliano VI) … e Giuliana Beltrame, Valter Bonan, Federico Camporese, Aurora d’Agostino, Danilo Del Bello, Roberto Del Bello, Olol Jackson, Renata Mannise, Roberto Marinello, Attilio Motta, Mario Nalin, Mattia Orlando, Marco Palma, Francesco Penzo, Sandro Sabiucciu, Piero Teardo, Matteo Zancanaro, Emanuele Zinato …


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CRISI DELLA DEMOCRAZIA E CRISI FINANZIARIA IN EUROPA:


IL RUOLO DEI COMUNI PER I BENI COMUNI.

Negli ultimi anni, nell'ambito delle politiche di contenimento della spesa pubblica, ai Comuni è stato fatto pagare il prezzo più alto della crisi, a partire dall'imposizione dei criteri degli Accordi di Maastricht e del Patto di Stabilità, utilizzato come “gabbia d’acciaio” all’interno della quale sono state giustificate le scelte nazionali di taglio dei trasferimenti agli Enti locali e, più in generale, di limitazione degli spazi effettivi di originaria autonomia ed autogoverno delle comunità locali. Un attacco che ha pure anticipato, nei fatti, il primato delle oligarchie tecnocratiche sui dispotivi democratici nella governance delle “emergenze”.
Allo stesso modo tagli e limitazioni sono stati negli ultimi dieci anni componente essenziale delle politiche di smantellamento del Welfare in tutta Europa. E nel nostro Paese in particolare dove, in assenza di uno strutturato sistema universalistico di tutela dei diritti della persona su scala statale, sono stati finora le Regioni (per quanto riguarda l’assistenza sanitaria) ed i Comuni (per il restante settanta per cento delle prestazioni di Welfare) a farsi carico in misura preponderante degli interventi sociali, tanto più nel superamento del modello fordista.
Allo stesso tempo sono i Comuni, e gli Enti territoriali più in generale, a risultare proprietari di quei beni comuni (quali terreni ed immobili) e gestori di quei servizi pubblici essenziali (dal ciclo integrato delle acque ai trasporti, dalla raccolta e smaltimento dei rifiuti alle farmacie tra gli altri), in proprio o attraverso società partecipate, beni comuni e servizi che sono stati e sono ancor più oggi oggetto di politiche di indiscriminata privatizzazione.

Nel nostro Paese, in particolare, la risposta allo straordinario successo del referendum sull’acqua, che nei confronti di queste politiche ha costituito una prima battuta d’arresto e l’indicazione di una possibile inversione di tendenza, è stata la manovra di Ferragosto con gli articoli 4 e 5 che costringono i Comuni a ricollocare forzosamente nei circuiti del mercato finanziario privato le proprie aziende pubbliche e la gestione dei servizi ai cittadini.
E questo avviene nel momento in cui proprio la pressione sui bilanci degli Enti locali e l’irrigidimento della loro capacità di spesa sono stati resi più pesanti dalle regole stringenti del Patto di stabilità interno, tema rispetto al quale la manovra del governo Monti non sembra apportare alcuna modifica sostanziale.
E’ dunque, simultaneamente, nella prospettiva di un processo costituente democratico dello spazio politico europeo, in cui le città possono e devono svolgere – anche a partire dalla propria storia di originarie autonomie – un ruolo cruciale, e in stretta connessione con quanti, su scala europea, hanno posto al centro la tutela e la cura dei beni comuni e una più equa redistribuzione della ricchezza prodotta e disponibile, che trova un senso nuovo la costruzione di reti tra amministratori e governi locali e di proposte in grado di rovesciare la logica che ha fin qui dominato le risposte nazionali alla crisi.
Nel nostro Paese due sono le questioni determinanti: innanzitutto, le modalità attraverso le quali, a partire dalla dimensione locale, difendere i beni comuni e garantire una gestione pubblica, rinnovata e partecipata dei servizi ai cittadini; in secondo luogo, i meccanismi attraverso i quali rompere i vincoli insopportabili del Patto di stabilità e strutturare invece nuove politiche di fiscalità locale, in grado di aggredire la rendita e assicurare una reale autonomia finanziaria agli stessi Comuni.
Dalla ricerca di soluzioni intorno a questi due nodi può scaturire la trasformazioni di singole positive esperienze di governo locale in veri e propri laboratori, sociali e istituzionali, del cambiamento, della costruzione effettiva di un’alternativa alla crisi e ai suoi effetti.

Per informazioni e contatti:

comuniperibenicomuni@gmail.com e giuseppe.caccia@comune.venezia.it

Streaming video dell'incontro su: www.globalproject.info

www.alternativacomune.eu

sabato 10 dicembre 2011

L'economia del dono. Luigi De Magistris

 
  Il 10 dicembre è una giornata importante. E' “la giornata del caffè sospeso”. Un nuovo modo di riflettere su economia e solidarietà, in tempo di crisi, davanti ad un bel caffè. Si tratta di una manifestazione dal forte contenuto simbolico, organizzata dalla Rete del caffè Sospeso, un insieme di associazioni che invita i locali d’Italia a riprendere l’antica usanza napoletana di lasciare un caffè in omaggio per i meno fortunati.
Fino al Secolo scorso, infatti, a Napoli, chi era meno abbiente poteva trovare al bar un caffè in omaggio, pagato da un precedente avventore, che lo lasciava in ‘sospeso’ per persone meno fortunate che non potevano permetterselo.
Non si trattava di elemosina ma di un atto di solidarietà. Quella pratica era figlia di un'Italia diversa, dove l'economia non era un fine ma un mezzo, iscritta in una complessa rete di relazioni sociali, dove l'uomo, non il profitto, era al centro di tutto.
Il caffè sospeso era un esempio di quella “economia del dono”, studiata da antropologi e storici, per la quale le relazioni umane e la solidarietà erano il senso stesso dell'agire. Un'altra economia possibile e che ha lasciato traccia direttamente nel nome dell'istituzione che rappresento.
I Comuni, infatti, si chiamano così proprio perché erano i soggetti che gestivano i beni comuni, come la terra, l'acqua e l'economia.
Beni, fondamentali per la vita della collettività, sui quali tutta la comunità esercitava i così detti usi civici, come i diritti di godere tutti e indistintamente dei frutti della terra.
La grande battaglia per i beni comuni di cui mi sono fatto portavoce nelle vesti di sindaco di Napoli, quindi, ci permette di tornare alla vocazione principale del Comune, come istituto che, al fianco della collettività, deve poter, prima di tutto, garantire dignità e solidarietà ai cittadini, proteggendo quei beni che devono essere amministrati in modo partecipato per essere accessibili a tutti, anche alle generazioni future.
Da questo punto di vista, lo Stato, attraverso i diritti di cittadinanza, ha il compito di risarcire la collettività dalle iniquità prodotte dal mercato, al fine di garantire la libera fruizione di quei beni collettivi che non possono essere erogati in base all'utile, pena mettere a rischio la dignità dell'uomo.
Ognuno di noi, infatti, prima di essere consumatore, è un cittadino, titolare di diritti inalienabili che presuppongono il godimento di beni, che per la loro importanza, non possono essere delegati al mercato.
Il 10 dicembre, anche pagando un caffè per i meno fortunati presso i locali che avranno aderito all'iniziativa, potremo fare un gesto concreto a favore della solidarietà.
In poco più di un anno di vita, la Rete del Caffè Sospeso, infatti, ha creato significativi scambi e condivisioni fra i 7 festival che hanno inizialmente aderito al progetto. Ora, grazie all'istituzione della giornata del caffè sospeso, in concomitanza con la Giornata Internazionale dei Diritti Umani, abbiamo la possibilità di affermare come la protezione della nostra dignità dipenda anche dalla promozione di un nuovo modo di fare economia.


Basta poco. Anche un caffè.


Luigi de Magistris



mercoledì 7 dicembre 2011

10 dicembre: ad Este il rito del caffè sospeso


   La “Rete del Caffè Sospeso” promuove il recupero di una antica usanza partenopea, solidale, nei bar, nella cultura… nella vita. IL “Caffè sospeso” consisteva nel lasciare un caffè in omaggio pagato da un precedente avventore, che lo lasciava in ‘sospeso’ per persone meno fortunate che non potevano permetterselo. Non si trattava di elemosina ma di un atto di condivisione dei problemi, solidarietà e comprensione.
Una pratica che la Rete promuove nella cultura e nella vita quotidiana e che ritiene importante rinnovare in tempi di crisi economica e dei valori come quelli attuali.

Ad Este vi aderiscono:
l’associazione culturale “ L’Ennesima”
la bottega equo-solidale “ La Bilancia"
il bar Roma in via Matteotti
il bar pasticceria Beatrice in via San Girolamo
il bar panetteria Callegari in via Principe Umberto.

Questi bar esibiranno la locandina ( che riportiamo a lato) che pubblicizza l’iniziativa, nella giornata del 10 dicembre la bottega equo- solidale distribuirà gratuitamente una cinquantina di caffè sospeso espresso bio , dalle 16 alle 17, per chi vorrà venire a degustarli in piazza Trento.

Cosa è la “ Rete del caffè sospeso”?

La “Rete del Caffè Sospeso - festival, rassegne e associazioni culturali in mutuo soccorso” è nata a Napoli il 14 novembre 2010 da 7 festival italiani che hanno deciso di unire le forze e fare rete scambiandosi idee, progetti e prodotti culturali per sopravvivere o addirittura crescere in questi difficili tempi di crisi economica e tagli alla cultura. invita i bar ed i locali d’Italia a riprendere l’antica usanza napoletana che consisteva nel lasciare un caffè ‘sospeso’ per chi non poteva permetterselo…

Una pratica che la Rete promuove nella cultura e nella vita quotidiana.

In poco più di un anno di vita la Rete ha creato significativi scambi e condivisioni fra i 7 festival, ha ottenuto diverse nuove adesioni ed ha ora deciso di istituire, in concomitanza con la Giornata Internazionale dei Diritti Umani, il 10 dicembre - Giornata del Caffè Sospeso, iniziativa che si pone l’obiettivo di proporre la ripresa dell’antica usanza partenopea in bar e locali d’Italia e di conseguire nuove adesioni alla Rete attraverso la diffusione, nel settore della promozione culturale e nella vita quotidiana in genere, della filosofia solidale su cui si fonda.



sabato 3 dicembre 2011

Polacchine Astorflex domenica 4 dicembre ad Este



Gigi Perinello parla del progetto Ragioniamo con i piedi


Domenica 4 dicembre, nella cornice della Giornata Ecologica, dalle 10 alle 19, il calzaturificio Astorflex sarà presente in piazza a Este per l'esposizione e la vendita delle sue scarpe al prezzo applicato ai Gas ( Gruppi di acquisto solidale) ovvero il più basso applicabile. Il progetto sociale cui fa capo sta attraversando un momento di difficoltà, per questo chiediamo a tutti coloro che hanno bisogno di scarpe invernali di ottima qualità, anallergiche e tutte prodotte in Italia, di indirizzare i propri acquisti verso di loro.


martedì 29 novembre 2011

Un Audit sul debito


Ospitiamo un contributo dell'economista Guido Viale pubblicato oggi su " Il Manifesto", come sempre interessante. Una lucida analisi sulla crisi del liberismo finanziario e sulla ferocia e l'inutilità, per uscirne, dei provvedimenti che il governo sta per varare 
gviale


 Agli storici del futuro (se il genere umano sopravviverà alla crisi climatica e la civiltà al disastro economico) il trentennio appena trascorso apparirà finalmente per quello che è stato: un periodo di obnubilamento, di dittatura dell'ignoranza, di egemonia di un pensiero unico liberista sintetizzato dai detti dei due suoi principali esponenti: «La società non esiste. Esistono solo gli individui», cioè i soggetti dello scambio, cioè il mercato (Margaret Thatcher); e «Il governo non è la soluzione ma il problema», cioè, comandi il mercato! (Ronald Reagan). Il liberismo ha di fatto esonerato dall'onere del pensiero e dell'azione la generalità dei suoi adepti, consapevoli o inconsapevoli che siano; perché a governare economia e convivenza, al più con qualche correzione, provvede già il mercato. Anzi, "i mercati"; questo recente slittamento semantico dal singolare al plurale non rispecchia certo un'attenzione per le distinzioni settoriali o geografiche (metti, tra il mercato dell'auto e quello dei cereali; o tra il mercato mondiale del petrolio e quello di frutta e verdura della strada accanto); bensì un'inconscia percezione del fatto che a regolare o sregolare le nostra vite ci sono diversi (pochi) soggetti molto concreti, alcuni con nome e cognome, altri con marchi di banche, fondi e assicurazioni, ma tutti inarrivabili e capricciosi come dèi dell'Olimpo (Marco Bersani); ai quali sono state consegnate le chiavi della vita economica, e non solo economica, del pianeta Terra. Questa delega ai "mercati" ha significato la rinuncia a un'idea, a qualsiasi idea, di governo e, a maggior ragione, di autogoverno: la morte della politica. La crisi della sinistra novecentesca, europea e mondiale, ma anche della destra - quella "vera", come la vorrebbero quelli di sinistra - è tutta qui.

Ma, dopo la lunga notte seguita al tramonto dei movimenti degli anni sessanta e settanta, il caos in cui ci ha gettato quella delega sta aprendo gli occhi a molti: indignados, gioventù araba in rivolta, e i tanti Occupy. Poco importa che non abbiano ancora "un vero programma" (come gli rinfacciano tanti politici spocchiosi): sanno che cosa vogliono.

Mentre i politici spocchiosi non lo sanno: vogliono solo quello che "i mercati" gli ingiungono di volere. È il mondo, e sono le nostre vite, a dover essere ripensati dalle fondamenta. Negli anni il liberismo - risposta vincente alle lotte, ai movimenti e alle conquiste di quattro decenni fa - ha prodotto un immane trasferimento di ricchezza dal lavoro al capitale: mediamente, si calcola, del 10 per cento dei Pil (il che, per un salario al fondo alla scala dei redditi può voler dire un dimezzamento; come negli Usa, dove il potere di acquisto di una famiglia con due stipendi di oggi equivale a quello di una famiglia monoreddito degli anni sessanta). Questo trasferimento è stato favorito dalle tecnologie informatiche, dalla precarizzazione e dalle delocalizzazioni che quelle tecnologie hanno reso possibili; ma è stato soprattutto il frutto della deregolamentazione della finanza e della libera circolazione dei capitali. Tutto quel denaro passato dal lavoro al capitale non è stato infatti investito, se non in minima parte, in attività produttive; è andato ad alimentare i mercati finanziari, dove si è moltiplicato e ha trovato, grazie alla soppressione di ogni regola, il modo per riprodursi per partenogenesi. Si calcola che i valori finanziari in circolazione siano da dieci a venti volte maggiori del Pil mondiale (cioè di tutte le merci prodotte nel mondo in un anno, che si stima valgano circa 75 mila miliardi di dollari). Ma non sono state certo le banche centrali a creare e mettere in circolazione quella montagna di denaro; e meno che mai è stata la Banca centrale europea (Bce), che per statuto non può farlo (anche se in effetti un po' lo ha fatto e continua a farlo, per così dire, "di nascosto"). Se la Bce è oggi impotente di fronte alla speculazione sui titoli di stato (i cosiddetti debiti sovrani) è perché lo statuto che le vieta di "creare moneta" è stato adottato per fare da argine in tutto il continente alle rivendicazioni salariali e alle spese per il welfare. Una scelta consapevole quanto miope, che forse oggi, di fronte al disastro imminente, sono in molti a rimpiangere di aver fatto. A creare quella montagna di denaro è stato invece il capitale finanziario che si è autoriprodotto; i "mercati". E lo hanno fatto perché tutti i governi glielo hanno permesso. Certo, in gran parte si tratta di "denaro virtuale": se tutto insieme precipitasse dal cielo sulla terra, non troverebbe di fronte a sé una quantità altrettanto grande di merci da comprare. Ciò non toglie che ogni tanto - anzi molto spesso - una parte di quel denaro virtuale abbandoni la sfera celeste e si materializzi nell'acquisto di un'azienda, una banca, un albergo, un'isola; o di ville, tenute, gioielli, auto e vacanze di lusso. A quel punto non è più denaro virtuale, bensì potere reale sulla vita, sul lavoro e sulla sicurezza di migliaia e migliaia di esseri umani: un crimine contro l'umanità.

È un meccanismo complicato, ma facile da capire: in ultima analisi, quel denaro "fittizio" - che fittizio non è - si crea con il debito e si moltiplica pagando il debito con altro debito: in questa spirale sono stati coinvolti famiglie (con i famigerati mutui subprime; ma anche con carte di credito, vendite a rate e "prestiti d'onore"), imprese, banche, assicurazioni, Stati; e, una volta messi in moto, quei debiti rimbalzano dagli uni agli altri: dai mutui alle banche, da queste ai circuiti finanziari, e poi di nuovo alle banche, e poi ai governi accorsi in aiuto delle banche, e dalle banche di nuovo agli Stati. E non se ne esce, se non - probabilmente - con una generale bancarotta.

In termini tecnici, l'idea di pagare il debito con altro debito si chiama "schema Ponzi", dal nome di un finanziere che l'aveva messa in pratica negli anni '30 del secolo scorso (al giorno d'oggi quell'idea l'hanno riportata in vita il finanziere newyorchese Bernard Madoff e, probabilmente, molti altri); ma è una pratica vecchia come il mondo, tanto che in Italia ha anche un santo protettore: si chiama "catena di Sant'Antonio". In realtà, tutta la bolla finanziaria che ci sovrasta non è che un immane schema Ponzi. E anche i debiti degli Stati lo sono. Il vero problema è sgonfiare quella bolla in modo drastico, prima che esploda tra le mani degli apprendisti stregoni dei governi che ne hanno permesso la creazione. Nell'immediato, un maggiore impegno del fondo salvastati, o del Fmi, o gli eurobond, o il coinvolgimento della Bce nell'acquisto di una parte dei debiti pubblici europei potrebbero allentare le tensioni. Ma sul lungo periodo è l'intera bolla che va in qualche modo sgonfiata.

Prendiamo l'Italia: paghiamo quest'anno 70 miliardi di interessi sul debito pubblico (che è di circa 1900 miliardi). L'anno prossimo saranno di più, perché gli interessi da pagare aumentano con lo spread. Negli anni passati a volte erano meno, ma a volte, in proporzione, anche di più. Quasi mai sono stati pagati con le entrate fiscali dell'anno (il cosiddetto avanzo primario); quasi sempre con un aumento del debito. Basta mettere in fila questi interessi per una trentina di anni - da quando hanno cominciato a correre - e abbiamo una buona metà, e anche più, di quel debito che mette alle corde l'economia del paese e impedisce a tutti noi di decidere come e da chi essere governati. Perché a deciderlo è ormai la Bce. Ma la vera origine del debito italiano è ancora più semplice: l'evasione fiscale. Ogni anno è di 120 miliardi o cifre equivalenti: così, senza neanche scomodare i costi di "politica", della corruzione o della malavita organizzata, bastano quindici anni di evasione fiscale - e ci stanno - per spiegare i 1900 miliardi del debito italiano. Aggiungi che coloro che hanno evaso le tasse sono in buona parte - non tutti - gli stessi che hanno incassato gli interessi sul debito e il cerchio si chiude. La spesa pubblica in deficit ha la sua utilità se rimette in moto "risorse inutilizzate": lavoratori disoccupati e impianti fermi. Ma se alimenta evasione fiscale e "risparmi" che vanno solo ad accrescere la bolla finanziaria, è una sciagura.

Altro che pensioni da tagliare (anche se le ingiustizie da correggere in questo campo sono molte)! E altro che scuola, e università, e sanità, e assistenza troppo "generose"! Siamo di fronte a cifre incomparabili: per distruggere scuola e Università è bastato tagliare pochi miliardi di euro all'anno. E da una "riforma" anche molto severa delle pensioni si può ricavare solo qualche miliardo di euro all'anno. Dalla svendita degli immobili dello Stato e dei servizi pubblici locali non si ricava molto di più. Dalla liquidazione di Eni, Enel, Ferrovie, Finmeccanica, Fincantieri e quant'altro, come improvvidamente suggerito nel luglio scorso dai bocconiani Perotti e Zingales (l'economista di riferimento, quest'ultimo, di Matteo Renzi; ma anche di Sarah Palin!), si ricaverebbe non più di qualche decina di miliardi una volta per sempre, trasferendo in mani ignote (ma potrebbero benissimo essere quelle della mafia) le leve dell'economia di un intero paese. Mentre interessi ed evasione fiscale ammontano a decine di miliardi ogni anno e il debito da "saldare" si conta in migliaia di miliardi. Per questo il rigore promesso dal governo potrà fare male ai molti che non se lo meritano, ma non ha grandi prospettive di successo: affrontare con queste armi il deficit pubblico, o addirittura il debito, è un'impresa votata al fallimento. O una truffa. Per questo è urgente effettuare un audit (un inventario) del debito italiano, perché tutti possano capire come si è formato, chi ne ha beneficiato e chi lo detiene (anche per poter prospettare trattamenti diversi alle diverse categorie di prestatori).

L'altro inganno che domina il delirio pubblico promosso dagli economisti mainstream - e in primis dai bocconiani - è la "crescita". A consentire il pareggio del bilancio imposto dalla Bce e tra breve "costituzionalizzato", cioè il pagamento degli interessi sul debito con il solo prelievo fiscale, e addirittura una graduale riduzione, cioè restituzione, del debito dovrebbe essere la "crescita" del Pil messa in moto dalle misure liberiste che i precedenti governi non avrebbero saputo o voluto adottare: liberalizzazioni, privatizzazioni, riforma del mercato del lavoro (alla Marchionne), eliminazioni delle pratiche amministrative inutili (ben vengano, ma bisognerà riparlarne) e le "grandi opere" (in primis il Tav). Ma per raggiungere con l'aumento del Pil obiettivi del genere ci vorrebbero tassi di crescita "cinesi"; in un periodo in cui l'Italia viene ufficialmente dichiarata in recessione, tutta l'Europa sta per entrarci, l'euro traballa, gli Stati Uniti sono fermi e l'economia dei paesi emergenti sta ripiegando. È il mondo intero a essere in balia di una crisi finanziaria che va ad aggiungersi a quella ambientale - di cui nessuno vuole più parlare - e allo sconvolgimento dei mercati delle materie prime (risorse alimentari in primo luogo) su cui si riversano i capitali speculativi che stanno ritirandosi dai titoli di stato (e non solo da quelli italiani). Interrogati in separata sede, sono pochi gli economisti che credono che nei prossimi anni possa esserci una qualche crescita. Molti prevedono esattamente il contrario; ma nessuno osa dirlo. Questa farsa deve finire. È ora di pensare - e progettare seriamente - un mondo capace di soddisfare i bisogni di tutti e di consentire a ciascuno una vita dignitosa anche senza "crescita". Semplicemente valorizzando le risorse umane, il patrimonio dei saperi, le fonti energetiche e le risorse materiali rinnovabili, gli impianti e le attrezzature che già ci sono; e rinnovandoli e modificandoli solo per fare meglio con meno. Non c'è niente di utopistico in tutto questo; basta - ma non è poco - l'impegno di tutti gli uomini e le donne di buon senso e di buona volontà.

lunedì 28 novembre 2011

Referendum acqua: lunedi 5 dicembre assemblea ad Este




 Il Comitato Provinciale Due Sì per l'acqua bene comune di Padova, aderente al Forum Italiano dei Movimenti per l'acqua , incontra lunedi alle 21, nella sala civica di vicolo Mezzaluna, amministratori, associazioni e Comitati della Bassa Padovana sul tema

“APPLICAZIONE DELL'ESITO REFERENDARIO NELL'A.A.T.O. BACCHIGLIONE”



Saranno presenti






                                                Giuliana Beltrame e Sandro Punzo


L'INCONTRO E' APERTO AI CITTADINI INTERESSATI




Comitato Provinciale Due Sì per l'acqua bene comune di Padova - UN GRUPPO DI AMMINISTRATORI DI ESTE - MONSELICE - BAONE




Pubblichiamo inoltre  la lettera che il Comitato Provinciale Due Sì per l'acqua bene ha inviato nei giorni scorsi ai sindaci dei comuni appartenenti all'A.A.T.O. Bacchiglione


Padova lì 14/11/2011


Egregi Sigg. Sindaci dei Comuni appartenenti all’A.A.T.O. Bacchiglione


Oggetto: Applicazione esito referendario


Cari Sindaci


a seguito della pubblicazione in G.U. del DPR n.116 del 18 luglio 2011 con il quale il Presidente della Repubblica dichiara abrogato il comma 1 dell’art.154 del D.lgs. 152/2006 (testo unico ambientale) il Comitato Provinciale Due Sì per l'acqua bene comune di Padova ritiene importante sollecitare un Vostro intervento in sede Aato Bacchiglione per dare seguito a quanto i Vostri concittadini, insieme ad altri milioni di cittadine e cittadini italiani hanno deciso e cioè che per quanto riguarda il secondo quesito, vanno cancellate le norme che garantiscono “l’adeguata remunerazione del capitale investito”nella determinazione della tariffa del servizio idrico integrato.
A supporto del presente sollecito, il Comitato rende noto quanto segue:
- come premesso, il secondo quesito referendario era volto ad eliminare, dal predetto art.154, comma1, il riferimento normativo al criterio“dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito”, riferimento che, ai fini della determinazione della tariffa del servizio idrico integrato (s.i.i.), imponeva di tener conto di parametri idonei ad assicurare “la remunerazione” del capitale investito, consentendo al gestore di recuperare in tariffa un adeguato profitto;
- più in particolare, la definizione delle componenti di costo e la determinazione della tariffa di riferimento del s.i.i. (c.d. “ Metodo normalizzato”) sono attualmente contenuti nel D.M. 1 agosto 1996. Emanato in attuazione dell’art.13 della L.36/1994 (c.d. legge Galli) -oggi quasi per intero abrogata- la vigenza del cit. D.M. è stata fino ad oggi assicurata dalla disposizione transitoria contenuta nel comma 3, lettera l, dell’art.170 del D.lgs. 152/2006. Come noto, tale metodo, ai fini della determinazione della tariffa, garantisce la remunerazione del capitale investito dal gestore in una percentuale fissa del 7%;
- con l’abrogazione referendaria, lo scenario risulta mutato: pur rimanendo formalmente in vigore il cit. D.M. 1 agosto 1996 (per tutte le restanti parti), ha perso legittimazione la parte che determina la voce della tariffa concernente “l’adeguata remunerazione del capitale investito”, per cui spetta alle autorità competenti (ad oggi, gli AATO) ricalcolare la tariffa espungendo la voce ormai illegittima, senza attendere futuri provvedimenti normativi del Governo.
Quindi il decreto del 1996, al pari di ogni altra disposizione normativa contenuta in una fonte diversa da quella sottoposta a referendum, deve considerarsi implicitamente abrogato nella parte in cui contrasta con la finalità referendaria, intesa a rendere il governo e la gestione dell’acqua estranee “alle logiche del profitto” (così sentenza della Corte Costituzionale n. 26/2011).
Infine, ricorda che il protrarsi di comportamenti autoritativi (illegittimi) da parte della stessa Autorità d’Ambito, consentirà agli utenti di richiedere la restituzione in bolletta delle quote illegittimamente pagate fin dalla data di entrata in vigore dell’abrogazione referendaria.


http://acquabenecomunepadova.org/


http://www.acquabenecomune.org/raccoltafirme/
                                                                                 

































venerdì 25 novembre 2011

Colli Euganei: 40 anni fa la svolta. E oggi?





Sabato 26 novembre, presso l’azienda agricola biologica La Costigliola di Banca Etica a Rovolon, si svolgerà il convegno regionale “Storia e attualità della Legge 1097 – Norme per la tutela delle bellezze naturali ed ambientali e per le attività estrattive dei Colli Euganei”.
Un appuntamento organizzato dal coordinamento Associazioni Ambientaliste per il Parco Colli Euganei per rileggere una pagina vincente nella salvaguardia dei Colli e per rilanciare il Parco e la decementificazione del nostro territorio.
Una ottantina di cave voracemente all'opera sulle pendici collinari, oltre 6 milioni di tonnellate estratte ogni anno: bastano questi dati a delineare la infernale situazione dei Colli Euganei negli anni 60. I tentativi di arginare questa aggressione, ad opera inizialmente soprattutto del Consorzio Valorizzazione Colli Euganei, si rivelano inefficaci: l'assalto sembra inarrestabile.

Finché sulla scena appare un protagonista nuovo per quei tempi: un movimento “ambientalista” di base, formato soprattutto di giovani, che nasce nel dicembre 1968 a Battaglia T. e che si espande poi rapidamente a tutta l'area euganea.
La strategia vincente si rivela quella di puntare a una legge speciale da far approvare dal Parlamento nazionale. Attorno a questo obiettivo viene creata una mobilitazione che oltre ai vari protagonisti a livello locale coinvolge l'opinione pubblica nazionale.
Il 24 Novembre 1971 il risultato viene raggiunto, a conclusione di una battaglia frontale tesa e serrata. La nuova legge (la 1097, firmata nell'ordine dall'on. Giuseppe Romanato, dall'on. Carlo Fracanzani e da altri 26 parlamentari di tutti i gruppi politici, tra i quali tutti i parlamentari padovani dell'epoca) si rivela, possiamo dire, come una boa attorno alla quale la politica ambientale sui Colli registra in effetti una inversione radicale.
Non solo vengono chiuse pressoché tutte le cave (subito quelle più impattanti, negli anni successivi le altre), ma subisce un drastico ridimensionamento anche l'assalto edilizio anch'esso particolarmente aggressivo in quegli anni e viene avviata, con alcune importanti acquisizioni pubbliche, una concreta politica di valorizzazione dei beni culturali e ambientali. E' l'idea di “Parco” che comincia a mettere radici: un'idea che superando polemiche e contrapposizioni esasperanti trova riscontro con la Legge Regionale n. 38 del 10.10.89.
Ed è al Parco, attraverso il Piano Ambientale, che passa l'onere di completare l'applicazione della 1097 e di consolidare le linee portanti di un'economia più attenta ai valori ambientali e culturali.
Ma questi obiettivi comportano la soluzione di un problema che la 1097 ha lasciato aperto: la presenza di ben 3 cementerie che, pur rimaste senza cave, continuano ad operare nel delicato comprensorio euganeo. In realtà un segnale, questa abnorme concentrazione, del predominio, in questi 40 anni, in particolare nella nostra Regione, della politica del cemento.
Un ridimensionamento di questa presenza dovrebbe essere la naturale conseguenza di un ormai inderogabile processo di “decementizzazione” del territorio.
Ed è proprio su questo fronte che sarebbe necessario prevedere un altro storico giro di boa nella gestione del nostro territorio: un obiettivo per il futuro che potrebbe trovare spinte e motivazioni nel rivisitare le vicende che hanno portato alla approvazione e alla applicazione della 1097.

Coordinamento delle Associazioni ambientaliste dei Colli Euganei

  Il convegno inizia alle 9,30 e si concluderà alle 17 con un brindisi e la musica dei Calicanto









mercoledì 23 novembre 2011

Fra...mmenti d'Italia: ultimo appuntamento

Si conclude stasera 23 novembre il ciclo di proiezioni fra...mmenti d'Italia con il film, alle 21, di Daniele Lucchetti.
Ci si trova in compagnia nella sede del Centro di Cultura
 " La Medusa". Alla fine biscottini e tisane offerte dal negozio equo solidale " La Bilancia". Vi aspettiamo...

martedì 22 novembre 2011

Tre milioni all’ora: l’Italia in crisi li spende per la difesa. Firmate l’appello di Zanotelli


Tagliamo le spese militari italiane e non i servizi sociali.



Di seguito il testo dell’appello.

In tutta la discussione nazionale in atto sulla manovra finanziaria, che ci costerà 20 miliardi di euro nel 2012 e 25 miliardi nel 2013, quello che più mi lascia esterrefatto è il totale silenzio di destra e sinistra, dei media e dei vescovi italiani sul nostro bilancio della Difesa. È mai possibile che in questo paese nel 2010 abbiamo speso per la difesa ben 27 miliardi di euro? Sono dati ufficiali questi, rilasciati lo scorso maggio dall’autorevole Istituto Internazionale con sede a Stoccolma (SIPRI). Se avessimo un orologio tarato su questi dati, vedremmo che in Italia spendiamo oltre 50.000 euro al minuto, 3 milioni all’ora e 76 milioni al giorno. Ma neanche se fossimo invasi dagli UFO, spenderemmo tanti soldi a difenderci!!
È mai possibile che a nessun politico sia venuto in mente di tagliare queste assurde spese militari per ottenere i fondi necessari per la manovra invece di farli pagare ai cittadini? Ma ai 27 miliardi del Bilancio Difesa 2010, dobbiamo aggiungere la decisione del governo, approvata dal Parlamento, di spendere nei prossimi anni, altri 17 miliardi di euro per acquistare i 131 cacciabombardieri F35. Se sommiamo questi soldi, vediamo che corrispondono alla manovra del 2012 e 2013. Potremmo recuperare buona parte dei soldi per la manovra, semplicemente tagliando le spese militari. A questo dovrebbe spingerci la nostra Costituzione che afferma :”L’Italia ripudia la guerra come strumento per risolvere le controversie internazionali…” (art.11) Ed invece siamo coinvolti in ben due guerre di aggressione, in Afghanistan e in Libia. La guerra in Iraq (con la partecipazione anche dell’Italia), le guerre in Afghanistan e in Libia fanno parte delle cosiddette “guerre al terrorismo”, costate solo agli USA oltre 4.000 miliardi di dollari (dati dell’Istituto di Studi Internazionali della Brown University di New York). Questi soldi sono stati presi in buona parte in prestito da banche o da organismi internazionali. Il governo USA ha dovuto sborsare 200 miliardi di dollari in dieci anni per pagare gli interessi di quel prestito. Non potrebbe essere, forse, anche questo alla base del crollo delle borse? La corsa alle armi è insostenibile, oltre che essere un investimento in morte: le armi uccidono soprattutto civili.
Per questo mi meraviglia molto il silenzio dei nostri vescovi, delle nostre comunità cristiane, dei nostri cristiani impegnati in politica. Il Vangelo di Gesù è la buona novella della pace: è Gesù che ha inventato la via della nonviolenza attiva. Oggi nessuna guerra è giusta, né in Iraq, né in Afghanistan, né in Libia. E le folle somme spese in armi sono pane tolto ai poveri, amava dire Paolo VI. E da cristiani come possiamo accettare che il governo italiano spenda 27 miliardi di euro in armi, mentre taglia 8 miliardi alla scuola e ai servizi sociali?
Ma perché i nostri pastori non alzano la voce e non gridano che questa è la strada verso la morte?
E come cittadini in questo momento di crisi, perché non gridiamo che non possiamo accettare una guerra in Afghanistan che ci costa 2 milioni di euro al giorno? Perché non ci facciamo vivi con i nostri parlamentari perché votino contro queste missioni? La guerra in Libia ci è costata 700 milioni di euro!
Come cittadini vogliamo sapere che tipo di pressione fanno le industrie militari sul Parlamento per ottenere commesse di armi e di sistemi d’armi. Noi vogliamo sapere quanto lucrano su queste guerre aziende come la Fin-Meccanica, l’Iveco-Fiat, la Oto-Melara, l’Alenia Aeronautica. Ma anche quanto lucrano la banche in tutto questo.
E come cittadini chiediamo di sapere quanto va in tangenti ai partiti, al governo sulla vendita di armi all’estero (Ricordiamo che nel 2009 abbiamo esportato armi per un valore di quasi 5 miliardi di euro).
È un autunno drammatico questo, carico di gravi domande. Il 25 settembre abbiamo la 50° Marcia Perugia-Assisi iniziata da Aldo Capitini per promuovere la nonviolenza attiva. Come la celebreremo? Deve essere una marcia che contesta un’Italia che spende 27 miliardi di euro per la Difesa.
E il 27 ottobre sempre ad Assisi, la città di S. Francesco, uomo di pace, si ritroveranno insieme al Papa, i leader delle grandi religioni del mondo. Ci aspettiamo un grido forte di condanna di tutte le guerre e un invito al disarmo.
Mettiamo da parte le nostre divisioni, ricompattiamoci, scendiamo per strada per urlare il nostro no alle spese militari, agli enormi investimenti in armi, in morte.

Che vinca la Vita!

Alex Zanotelli

per firmare http://www.ildialogo.org/appelli/indice_1314206334.htm



Luoghi Comuni



Pubblichiamo questa interessante analisi che contribuisce alla lettura di quanto successo in questi ultimi anni sul terreno delle lotte

Luigi Sturniolo
 martedì 22 novembre 2011
Luigi Sturniolo
Il luogo comune non è uno spazio vuoto, non è un’oasi, non è una riserva. Esso prende i connotati di chi lo vive, non conosce la separatezza del bene protetto. E’ a disposizione. Il luogo comune non si costituisce a partire dalla negazione dell’attività umana. Al contrario, in esso si addensano esperienze umane che stabiliscono rapporti di convivenza con le altre espressioni del vivente. Ma, appunto, non vive per sottrazione, vive per accumulo. E’ luogo di produzione, di attraversamento. Non si specchia in sé stesso e non ama il silenzio. Il luogo comune si dà in seguito a una conquista, è il frutto di una lotta. Viene dopo, non prima della disputa. In esso ha già avuto luogo una sperimentazione. Se è uno spazio sottratto alla mercificazione lo è non perché avrebbe potuto essere venduto in quanto tale, ma in quanto già usato come territorio della spoliazione e dell’appropriazione.
I dieci anni che abbiamo alle spalle hanno visto il territorio aggredito dalle politiche delle grandi opere, dei grandi eventi, delle emergenze. Ad esso ha fatto ricorso un sistema d’impresa in crisi che si è nutrito di risorse pubbliche. Perché questo potesse aver luogo è stato costruito un apparato normativo adeguato e organico centrato sulla verticalizzazione delle scelte e sulla cancellazione sistematica di ogni forma di partecipazione democratica, fosse anche quella, costituzionalmente garantita, degli organismi di rappresentanza. Questo sistema ha replicato, nei fatti, il meccanismo di dilapidazione di risorse pubbliche e di democrazia derivato dalle privatizzazioni e dalle varie forme di combinazione pubblico-privato.
Il territorio è diventato in questi dieci anni lo spazio delle lotte. Nel territorio si sono sviluppate le esperienze più significative e partecipate. Per quanto ancora strumento di grande importanza, lo sciopero ha perso parte della propria capacità d’incidere sulla realtà. Lo stesso legame d’interesse all’interno delle categorie e dei luoghi di lavoro si è rarefatto a causa della frantumazione delle categorie stesse. La moltiplicazione dei contratti ha reso sempre più difficile la costruzione di piattaforme comuni. Gli scioperi hanno visto una riduzione della partecipazione a causa del rapporto costi/benefici assolutamente deficitario e del significato più di posizionamento che davvero vertenziale di alcuni di questi. Così il territorio ha finito per diventare il campo di definizione di nuove alleanze. Soggetti anche molto diversi tra di loro sono riusciti a convivere e a condividere mobilitazioni ricompositive sui temi della difesa del territorio dalle devastazioni ambientali, sulla gestione delle risorse pubbliche, sulla nocività, sul reddito, sull’istruzione, sulla salute, sulla mobilità.
E’ sul territorio che si sono date le prime sperimentazioni relative al comune. L’acqua bene comune, gli spazi occupati bene comune, l’istruzione bene comune, la salute bene comune sono battaglie che hanno valenza universale, ma che si sostanziano a partire dai comitati locali, dalle aggregazioni locali. E’ sul terreno del locale che l’interesse comune viene percepito con maggiore facilità. Laddove il piano politico vive della perdita derivata dai tanti passaggi della mediazione, laddove il piano sindacale finisce per inseguire interessi particolari che, polverizzati, finiscono spesso per confliggere in una sorta di guerra di tutti contro tutti, lo spazio locale ha consentito l’incontro di molteplicità che hanno dato vita a lotte comuni. E sono i movimenti più avanzati sul piano del sindacale e della pratica dello sciopero che si costituiscono ormai su una dimensione territoriale. Le esperienze indignate, delle acampadas e dell’occupy in giro per il mondo sono esperienze territoriali. La manifestazione del 15 ottobre a Roma, che ha visto la partecipazione di centinaia di migliaia di persone, è stata animata in misura prevalente da esperienze, comitati, aggregazioni, movimenti territoriali, piuttosto che mossa dalla capacità delle organizzazioni nazionali. Nelle assemblee che l’hanno preceduta il richiamo all’unità che si dispone all’azione sul piano locale è stato il grido d’auto-aiuto più sentito.
La crisi ecologica (della quale il dissesto idrogeologico è fenomeno particolarmente gravido di pericoli e rappresentativo della rottura di tutti gli equilibri legati all’insediamento umano), la crisi della rappresentanza politica (evidente ormai a tutti i livelli nei quali si forma la decisione politica), la crisi economica (con il portato di crisi dei riformismi) consegnano ai territori il compito e la possibilità di ricostruire dal basso forme sostenibili dell’abitare, del decidere e del produrre. Il carattere strutturale delle crisi rende impossibile rintracciare delle soluzioni senza una fuoruscita dai dispositivi che le hanno causate. Da questo punto di vista, evidentemente, un governo guidato da personale della finanza e fondato sull’intimazione di una banca non può che rappresentare il tentativo di disporre la società ai flussi della finanziarizzazione, piuttosto che una difesa dai disastri di cui essa è portatrice.
Le pratiche del comune, le forme politiche originali di esodo dal privato e dallo statale, non possono che darsi sul territorio, laddove i corpi s’incontrano. Le pratiche del comune dovranno inondare il pubblico, guerreggiare affinchè esso venga riempito di partecipazione, autogestione, autorganizzazione, ma è solo al livello territoriale che sarà possibile, ad esempio, ricostruire, ripartendo dai saperi e dalle competenze locali, una dimensione urbanistica che consenta di sottrarsi al riprodursi sempre più frequente di eventi calamitosi. E’ solo a questo livello che sarà possibile costruire un welfare dal basso che consenta, attraverso forme di mutualismo e autogestione, di difendersi dalla penuria cui costringe la crisi economica. E’ a questo livello che si possono sperimentare forme di produzione auto-centrate, sostenibili e libere dalle forme dello sfruttamento.

I luoghi comuni non sono perimetrati. Riconoscono e recuperano saperi e vocazioni locali, ma non sono identitari. Sperimentano forme di autogoverno e non competono tra di loro. Sono territori che, dolcemente, si compenetrano. Dandoci ancora una possibilità.







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lunedì 21 novembre 2011

Alberto Lucarelli, assessore ai beni comuni del comune di Napoli, mercoledi 23 novembre a Padova




In preparazione della manifestazione nazionale a Roma del 26 novembre 2011 concretizziamo quello che 27 milioni di cittadine e cittadini italiani hanno affermato con il voto nei referendum del 12 e 13 giugno 2011:

Ripublicizzare La Gestione Del Servizio Idrico Eliminare I Profitti Sull'acqua.

Ripensare I Servizi Pubblici Come Beni Comuni.




Ore 20.30 Sala Paladin – Palazzo Moroni – Padova.


Con

Alberto Lucarelli Assessore ai Beni Comuni di Napoli


Valter Bonan Forum Veneto dei movimenti per l'acqua.


Introducono: Vilma Mazza, Giuliana Beltrame,


Alessandro Chieregato Comitato Provinciale 2 Sì per l’acqua bene comune.

Costruiamo la mobilitazione sociale più ampia perchè la gestione del servizio idrico non può restare nelle mani delle società per azioni, come la Multiutility AGEGAS APS io CVS che, per loro natura, rispondono alle logiche di mercato, come avviene, peraltro, nel ciclo dei rifiuti privilegiando gli inceneritori alla opzione rifiuto zero. L'acqua ed i beni comuni non possono essere ostaggio della speculazione finanziaria. La recente scelta politica dell'Amministrazione di Napoli dimostra che è possibile realizzare modelli di gestione del servizio idrico realmente pubblici e partecipati in cui al primo posto siano gli interessi della collettività. Nella serata sarà presentata la Campagna di obbedienza civile, in attuazione del secondo quesito referendario, per eliminare, attraverso percorsi collettivi di riduzione delle tariffe, i profitti sull'acqua cancellando dalle bollette il 7% di remunerazione del capitale, che ancora tentano illegalmente di farci pagare.

Comitato Provinciale 2 Sì per l’acqua bene comune - Padova



venerdì 18 novembre 2011

L'alternativa in stand-by


Da " Il Manifesto"

Oggi ospitiamo questa interessante riflessione che Tonino Perna offre dalle pagine de " Il Manifesto"


 Che strana sensazione che proviamo in tanti rispetto a questo governo Monti. Siamo smarriti, increduli e senza parole. Non sappiamo se gioire - per la scomparsa dell’incubo Berlusconi che è durato vent’anni - o cadere in depressione nel vedere un paese affidato ai cosiddetti tecnici di area e cultura liberal-cattolica. Certo, lo stile è ben altro e lo stile conta, non è solo forma: è sobrietà, la scelta del tono giusto, il senso della responsabilità che una carica pubblica comporta. Questa nuova immagine dell’Italia ci risolleva e riscatta a livello internazionale. Quanti italiani, recandosi all’estero, si sono vergognati in questi anni di fronte alla domanda: ma come fate a tenervi ancora Berlusconi? non siete il paese della cultura e dell’arte? Come vi siete ridotti!

Il presidente barzelletta, il presidente “orco” che organizza le orge, il presidente amico di Gheddafi e Putin, il presidente che tiene insieme una colazione di interessi criminali e sentimenti razzisti non c’è più. E questa è una liberazione. Ed è proprio questo il sentimento che accumuna una gran parte degli italiani in questo momento. Qualcuno però ammette: se non interveniva la Bce, il Fmi, il Vaticano, ecc. noi italiani non saremmo stati capaci da soli di mandarlo a casa, in galera o in una delle sue ville. D’altra parte, anche Mussolini ce lo saremmo tenuti – come Franco in Spagna - se l’Italia non fosse entrata in guerra e gli anglo-americani non ci avessero “liberato” dal nazifascismo bombardando pesantemente le nostre città.

Pertanto siamo contenti, ma siamo anche preoccupati, tanto da non goderci fino in fondo questo momento, questa fase della nostra storia che alcuni hanno già definito - esagerando - come “nascita della Terza Repubblica”. Non eravamo in pochi a sperare che la crisi finanziaria ed economica ci avrebbe portato a nuove elezioni nella prossima primavera, con la possibilità di scegliere uomini/donne e programmi alternativi. Le vittorie alle amministrative con inedite aggregazioni a sinistra, il grande successo dei referendum, ci avevano convinto che si stava aprendo una nuova fase politica in questo paese che ripensasse il modello di sviluppo, ponesse un limite alla mercificazione globale – estensione dei beni comuni - promuovesse una distribuzione più equa di reddito e lavori, valorizzasse la cultura e la ricerca finalizzate ad una conversione ecologica del nostro modo di vivere e lavorare. Questo popolo dell’alternativa è oggi in stand by. Sa che non esiste un governo tecnico, sa che questo governo ha una prevalente matrice liberista che è stata la medicina che ci ha portato al disastro. Sa che per uscire veramente da questa crisi non bastano tecnocrati amati a Bruxelles, ma un cambio radicale di politiche che disarmi la finanza, che ponga fine alla “guerra all’euro”, che riduca il debito ecologico. Sa tutto questo, ma non può farci niente, almeno per il momento. Cerca di capire con quali provvedimenti il governo tecnico ci vuole fare uscire dalla crisi. Come e se colpirà le grandi ricchezze e quanti sacrifici chiederà alla maggioranza dei lavoratori, pensionati, precari, ecc. Ma tutte le forze sociali e politiche che puntano ad un’alternativa di sistema non possono restare a bagnomaria per un anno e mezzo, sarebbe un suicidio politico. Né possono accontentarsi di qualche manifestazione contro questo governo (per altro impopolare, almeno per qualche mese), ma devono lavorare a costruire concretamente, con programmi, persone e pratiche sociali un’alternativa che risponda alla gravità della crisi che attraversa l’Europa e l’Occidente, che non è solo economico-finanziaria, ma è una vera e propria crisi delle istituzioni democratiche. Altrimenti saremmo vittime dei paradigmi bocconiani e finiremo anche noi per essere fatti "a Bocconi" dai sacerdoti del libero mercato, delle privatizzazioni, del dio denaro.

Tonino Perna

mercoledì 16 novembre 2011

Appello della scuola al Presidente incaricato sen. Mario Monti



Articolo 33 della Costituzione Italiana

L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento.
La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.
Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.




Le sottoscritte Associazioni della scuola ritengono che sia cruciale per il futuro del paese la funzione di una buona scuola della Repubblica.
Il programma del nuovo governo deve vedere protagonista la nostra scuola. Siamo per questo certi che esso non potrà in alcun modo prevedere nuovi sacrifici per la scuola pubblica statale, messa in ginocchio da tre anni di scriteriati e pesantissimi tagli.
Il rilancio, economico e non solo del nostro Paese o investirà sul futuro dei nostri giovani, avendo come protagonista la cultura, l’istruzione e la nostra scuola statale, o non si darà affatto.
Per questo chiedono al Presidente incaricato che il nuovo ministro dell’istruzione rappresenti in modo inequivocabile la scuola pubblica statale, che è il fondamento del nostro sistema scolastico ai sensi dell’art. 33 c.2 della Costituzione.

CIDI (Centro Iniziativa Democratica insegnanti)
CGD (Coordinamento Genitori Democratici)
FNISM (Fed naz. Ins. Scuola media)
Com. Nazionale Scuola e Costituzione
Ass.ne Naz. XXXI Ottobre
Ass. ne naz. le Per la Scuola della Repubblica
Assemblea genitori ed insegnanti delle scuole di Bologna e provincia
Assemblea permanente VII Circolo Montessori Roma
Coordinamento scuole secondo Municipio Roma
Coordinamento scuole superiori Roma
Ass. ne ReteScuole Milano
Consulta torinese per la laicità delle Istituzioni
Coordinamento Presidenti Consigli di Circolo e Istituto di Bologna e Provincia
Comitato bolognese Scuola e Costituzione
Comitato Genitori ed Insegnanti per la Scuola Pubblica di Padova
COOGEN di Torino
La scuola siamo noi Parma
Coordinamento Istruzione Bene Comune di Parma
Napoli Scuole-Zona Franca




Pubblicato da comitatonogelmini, 15 novembre 2011








martedì 15 novembre 2011

I cementifici inquinano quattro volte tanto gli inceneritori

Il Paesaggio euganeo - Il Ricordo dei Luoghi
Pubblichiamo una lettera del signor Leandro Belluco sulle cementerie ed il testo della interrogazione che, sullo stesso argomento, il parlamentare IDV Andrea Zanoni ha fatto alla Direttrice dell'Autorità Europea per la sicurezza alimentare 



La questione del grave inquinamento provocato dai cementifici è finalmente sbarcata in Europa.



L' incredibile normativa che consente per l'appunto ai cementifici di disporre di limiti di emissione per Ossidi di Azoto, Anidride Solforosa e Polveri Sottili assai meno restrittivi rispetto a quelli degli inceneritori sarà oggetto di attenzione a Bruxelles.
E l'Europa, a nome di Geslain-Lanéelle, Direttrice esecutiva dell'Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) ringrazia il parlamentare europeo Andrea Zanoni di aver messo in luce il problema. ". “Non sottovalutiamo i cementifici che emettono anche più inquinanti degli inceneritori, come a Pederobbia (Treviso) e Este e Monselice (Padova)”.
Sono anni che i comitati di Monselice "Lasciateci respirare" (precisamente dal 2005) ed "E Noi?" (dal 2010) avevano illustrato questa inaccettabile situazione.
Finalmente, dopo le interrogazioni senza risposta fatte al parlamento Italiano, la grave discrepanza viene considerata con attenzione in Europa.
Si ricorda che è stato proprio per aver evidenzaito pubblicamente questa situazione incomprensibile ed essersi chiesti a chi giovi questa discutibile normativa che Italcementi SpA ha citato per danni di immagine i due comitati della bassa padovana.
Un colosso dal fatturato di ca. 5 miliardi di euro/year che ogni anno spende per pratiche legali oltre 20 milioni di euro ha cercato di zittire i due comitati con l'unica arma che gli rimaneva: quella di impegnarli in azioni legali fuori della loro portata chiedendo danni per 160.000 euro, che significano una causa legale da oltre 200.000 euro.
Poco importa se tra molti anni Italcementi dovesse perdere la causa.
La somma e le risorse investite sono insignificanti per la potentissima multinazionale . Fondamentale era impegnare immediatamente, oltre le loro possibilità economiche, i due comitati e dare un segnale forse inequivocabile che chiunque avesse osato contrapporsi su una normativa così importante per i loro interessi avrebbe potuto essere trattato allo stesso modo.
I comitati hanno già asciugato completamente, a causa delle spese legali in difesa, le scarse risorse economiche di cui disponevano.
Per questo motivo si esortano tutti coloro che hanno a cuore la possibilità che i comitati possano continuare a difendere la gente nelle forme previste dalla legge e ritengano il comportamento messo in atto da Italcementi intollerabile di inviare un loro contributo economico ai due comitati tramite un bonifico bancario


IBAN: IT50M0504062661000000617222


o altra forma ritenuta più consona.


Infine si desidera ricordare che i soldi investiti nella difesa dei nostri diritti, del nostro territorio e della nostra salute sono quelli che garantiscono il più alto rendimento e per questo si chiede di inoltrare anche ad amici e conoscenti la presente informativa.


Cordiali saluti

Comunicato stampa 8 Novembre 2011

EFSA monitori effetti inceneritori e cementifici su colture e allevamenti
Andrea Zanoni (IdV) chiede alla Direttrice dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare uno studio sugli effetti dell'incenerimento di rifiuti su culture e allevamenti limitrofi. “Non sottovalutiamo i cementifici che emettono anche più inquinanti degli inceneritori, come a Pederobbia (Treviso) e Este e Monselice (Padova)”.

“L'Autorità europea per la sicurezza alimentare promuova uno studio sugli effetti delle particelle emesse da inceneritori e cementifici sulle colture dei campi agricoli vicini a queste strutture”, lo ha chiesto Andrea Zanoni, Europarlamento IdV, a Catherine Geslain-Lanéelle, Direttrice esecutiva
dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare di Parma (EFSA), ieri sera in commissione Ambiente al Parlamento europeo a Bruxelles.
“In Italia inceneritori e cementifici continuano a bruciare rifiuti a due passi da campi agricoli dove vengono coltivati i prodotti che poi finiscono sulle nostre tavole – ha detto Zanoni – come valuta l'Efsa l'incidenza delle particelle emesse da queste combustioni negli anni sulle coltivazioni agricole e sugli animali da allevamento?”.
“Molti non lo sanno, ma i cementifici, che di rifiuti ne bruciano eccome, hanno paradossalmente soglie di emissioni più alte da rispettare”. Zanoni ha fatto l'esempio del cementificio di Pederobba (Treviso), terra dei vigneti del prosecco, dove nel territorio limitrofo sono stati rilevati valori di benzopirene doppi rispetto a quelli consentiti dalla legge. E poi i cementifici di Este e Monselice (Padova) funzionante dal 1950 dentro un parco regionale, zona SIC e ZPS, con relative emissioni di anidride solforosa, ossidi di azoto e polveri sottili, rispettivamente 4, 8 e 3 volte il limite massimo consentito previsto per gli inceneritori. Infine, il cementificio di Fanna (Pordenone), dove in una zona vicina a Maniago è stata rinvenuta diossina in un pollo con valori superiori a 10 volte i limiti consigliati dalle direttive europee.“Senza dimenticare gli inceneritori, come quello vecchio di Brescia – ha proseguito l'Eurodeputato – dove sono state rinvenute tracce di diossina e policlorobifenile (Pcb) nel latte di ben 18 stalle di allevamenti vicini”. E poi le nuove strutture in costruzione. “A Russi (Ravenna) è in progetto un inceneritore che ha scatenato le proteste degli agricoltori della zona che si aggiungerà al paradosso dell'inceneritore in costruzione proprio a Parma, sede dell'EFSA stessa, a fianco dello stabilimento della Barilla”.
“Purtroppo ci sono grosse difficoltà ad ottenere dati precisi ed effettuare analisi visti gli interessi delle lobby dei cementifici in gioco – ha riferito Zanoni alla Direttrice EFSA – perché spesso i Comuni non vogliono impegnarsi contro gli effetti degli inceneritori che vengono costruiti”.

Geslain-Lanéelle ha ringraziato Zanoni per aver portato alla sua attenzione i casi di cui sopra. “E' importante difendere la salute dei cittadini, per questo l'agenzia monitora costantemente i prodotti alimentari del Paesi membri”. La direttrice EFSA si è dimostrata disponibile a raccogliere ed eventualmente a valutare le segnalazioni fatte dall'Eurodeputato che promette di “interessare le autorità europee ogni volta che quelle italiane falliscono nel proteggere la nostra salute”.


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